Biffi e immigrazione 2

La discussione si riaccende

Pagina preparata a più riprese e in pochi minuti, copiando e incollando dai siti dei quotidiani... mi rendo conto che c'è fin troppo materiale e che andrebbero evidenziati i passaggi importanti.

Del resto, proprio quando tutto sembrava essersi sopito, il card. Biffi ha tenuto un nuovo intervento (già programmato da tempo e il cui testo è uscito immediatamente nell'opuscolo Biffi G., Sulla immigrazione, ed. ElleDiCi, £ 2'000) sull'immigrazione in occasione del seminario della fondazione «Migrantes» sabato 30/IX/2000. Non so se avrò tempo di inserirlo in queste pagine: in parte riprende letteralmente ampi stralci della sua nota, in parte chiarisce alcune cose, in parte rincara le sue posizioni. Il discorso è più organico e sviluppato rispetto al capitolo III della nota; del resto tratta solo dell'immigrazione, in sintonia con l'occasione per cui è stato tenuto. Inutile dire che non sono mancate le reazioni e le polemiche, ancor più di prima: i quotidiani di domenica 1/X e oggi lunedì ne sono pieni.

Mi sembra che il confronto delle varie opinioni sia istruttivo. Partiamo con Leonardo Zega, ex-direttore di Famiglia Cristiana che attacca esplicitamente il cardinale. Quindi passiamo a Bologna7, l'inserto locale di Avvenire, di domenica: Stefano Andrini incensa il cardinale e bolla con giudizi decisi tutti quanti hanno avuto qualcosa da dire; il laicissimo Sartori ha parole di vera ammirazione per il cardinale per poi terminare con un durissimo giudizio sul papa. Finalmente ho trovato qualche dichiarazione di don Giovanni Nicolini e un'editoriale della Caritas italiana. Aggiungo qui i titoli in prima pagina della Repubblica di domenica: Nuova crociata di Biffi "Fermate le moschee" con sottotitolo Occhio per occhio di Michele Serra. Infine allarghiamo lo sguardo (gli articoli sono de la Repubblica solo per comodità; il testo completo dell'Angelus l'ho trovato poi su Avvenire) su due avvenimenti significativi avvenuti il giorno seguente l'intervento di Biffi: le parole di pace del Papa in piazza san Pietro e Romano Prodi che inaugura un tempio Sikh in provincia di Reggio Emilia. Infine, a margine, alcune reazioni particolarmente decise: la denuncia per incitamento all'odio razziale e religioso di un parroco avellinese e la contestazione dei Verdi durante una visita ufficiale del cardinale.
 

Personalmente sono tanti i motivi di rammarico:

E non dico di più.
Scusate se ho preso la parola anch'io...

Gian Pietro B.

L'inferno sono gli altri

Chiesa e immigrati
di Leonardo Zega

La Stampa (2 ottobre 2000)

Se il cardinale Biffi insiste nelle sue «provocazioni» sul problema degli immigrati di religione islamica è perché sa di non essere solo. Una parte della gerarchia cattolica, minoritaria ma potente, è dalla sua parte; i più non condividono ma tacciono, per prudenza, per timore di spaccature, per quieto vivere; nessun confratello vescovo ha osato finora andare in televisione per esprimere apertamente il proprio dissenso; il Vaticano si è defilato. L’arcivescovo di Bologna, che si dice mosso da preoccupazioni squisitamente pastorali, sa anche di lusingare una larga fetta di opinione pubblica politicamente schierata e frastornata da notizie orecchiate o false sui rischi incombenti dell’immigrazione in genere e di quella musulmana in specie.

Non insisto sul contrasto di principio tra la mentalità discriminatoria, di qualunque abito si vesta, e il messaggio evangelico. Posso solo aggiungere a quanto già detto che persino la richiesta di reciprocità - così ragionevole all’apparenza - cozza con l’invito a «porgere l’altra guancia». Se parla «le lingue degli uomini», la carità cristiana diventa, come ammonisce San Paolo, «un bronzo sonante o un cembalo squillante», una parola vuota di senso. Ed è stato Sartre, non Gesù Cristo, a dire che «l’inferno sono gli altri». Non sembra infine decoroso il tentativo di giustificare il tutto con la paura. Di che cosa poi? Lo spiega Biffi stesso, testualmente: «Io non ho nessuna paura dell’Islam. Le mie paure per l’avvenire dell’Italia sono altre. Ho paura della straordinaria imprevidenza che dimostrano i responsabili della nostra vita pubblica.

Ho paura dell’immaturità, dell’inconsistenza, dei condizionamenti ideologici di molti opinionisti... Più ancora, ho paura dell’insipienza di troppi cattolici, soprattutto tra i più acculturati e loquaci». Imprevidenza, immaturità, inconsistenza culturale, insipienza loquace di troppi di noi: chi non è d’accordo è servito. Circa l’appello allo Stato, laico ed autonomo, perché si svegli e agisca, ha detto bene Michele Serra: «Non è sportivo invocare i gendarmi quando fino a un minuto prima ne hai parlato malissimo».

Caso immigrazione, il cardinale Biffi ha tolto la sordina

Il commento
di Stefano Andrini
Avvenire - Bologna7 1/X/2000

Il giudizio del cardinale Biffi sulla sfida rappresentata dall’immigrazione e sulla particolare attenzione con cui va affrontato il caso dei musulmani ha avuto il merito di riaprire un dibattito che da tempo covava sotto la cenere suscitando un interesse a livello planetario. A due settimane dalla presentazione della nota pastorale il grido d’allarme lanciato dal cardinale ha raggiunto, inoltre, due obiettivi: svelare i segreti di molti cuori e strappare il velo di ipocrisia dietro il quale si sono rifugiati (chi per ingenuità, chi per interessi particolari) chierici, laici, lobbies internazionali.

Sul primo punto la politica è decisamente in pole position. La sorpresa, in questo settore, non viene certo dalle prese di posizione delle solite nicchie anticlericali che continuano a blaterare sulle presunte ingerenze della Chiesa nella vita dello Stato italiano. Lascia senza parole, piuttosto, la linea affermata dal segretario nazionale e dal quotidiano del Partito Popolare che, se non abbiamo perso qualche colpo, non ha ancora rinnegato la sua ispirazione cristiana (su cui fa leva per chiedere voti ai cattolici). Ci siamo chiesti, senza trovare risposte, cosa può aver spinto politici dichiaratamente cattolici a scendere in campo contro un vescovo non, si badi bene, nel merito di una materia di per sé opinabile come la politica immigratoria ma accusandolo di aver lasciato a casa il Vangelo e di "averla sparata grossa". Non abbiamo trovato risposte razionali, a meno che la soluzione dell’enigma non sia da ricercare ("a pensare male" con quel che segue) nell’imminenza delle prossime elezioni politiche e nella necessità di un partito, ai minimi storici dal punto di vista del consenso, di ottenere qualche collegio in più dai veri padroni della coalizione di cui fa parte.

Non meno sorprendenti sono state le reazioni di alcuni cattolici (con o senza tonaca) che, di fronte alle parole dell’arcivescovo, si sono strappati i capelli (accodandosi agli schiamazzatori di professione) facendo finta di ignorare che certe valutazioni sul "pericolo islamico" non derivano da un passo indietro nella cultura dell’accoglienza ma rappresentano piuttosto un contributo realistico a un problema drammatico (che, in quanto tale, riguarda in primo luogo lo Stato, come ha ricordato ieri lo stesso Cardinale al seminario proposto dalla Fondazione Migrantes). All’arrendevolezza di queste mosche cocchiere (incoscienti cicale pronte a sventolare in nome di un malinteso concetto di solidarietà e per meno di un piatto di lenticchie, il patrimonio originale di cultura e di fede da cui provengono) fa da contraltare la lucidità e la sintonia con il Cardinale di alcuni laici.

Nessuno può definire papisti o clericali intellettuali e giornalisti come Giovanni Sartori, Ernesto Galli della Loggia, Giuliano Ferrara (solo per fare qualche nome). Se un certo pensiero laico sulla questione degli immigrati si ritrova a pensarla come il Cardinale ciò significa, con buona pace dei finti buoni samaritani, che la tutela dell’identità nazionale e una gestione dei flussi meno improvvida e permissiva di quella attuale può (anzi deve) diventare (anche in vista della prossima scadenza elettorale) materia di riflessione e di confronto politico a cui lo Stato, il governo, l’opposizione non possono sottrarsi. Anzi, sulla quale devono presentare ai cittadini proposte chiare e responsabili.

A conclusione della nostra riflessione vorremmo far partecipe il lettore di alcune domande. Perché tanto scandalo per la nota pastorale di un Arcivescovo alla guida di una diocesi che non è certamente il centro del mondo? Per quale ragione, contro le tesi del cardinale, sono scesi in campo con una virulenza inconsueta anche il "Wall Street Journal" e il "Financial Times"? Cosa ha spinto i leader religiosi islamici a incontrarsi segretamente nella moschea di Roma per concordare una strategia comune contro la tesi molto ragionevole e poco fondamentalista del nostro Arcivescovo?

Non siamo profeti né dietrologi. Ma qualche ipotesi la vogliamo fare. Abbiamo l’impressione, infatti, che dietro il sollevamento dei potentati finanziari anglosassoni (da sempre antagonisti per religione e cultura del cattolicesimo) non ci sia un interesse reale per le persone immigrate, quanto la convinzione che la Chiesa tenti di bloccare il progetto (che sembra piacere molto a certi settori dell’economia americana) di trasformare l’Europa (e quindi anche l’Italia) in una landa desolata (dominata dalle leggi di mercato, dal petrolio alla new economy) al soldo di tutte le bandiere tranne di quella cristiana, che ha sventolato sul vecchio continente fin dalla sua fondazione. Per quanto riguarda l’Islam il sospetto è che i leader musulmani non critichino il cardinale Biffi perché preoccupati per l’integrazione dei loro concittadini ma piuttosto perché temono ripercussioni sulla strategia del "cavallo di Troia" che stando portando avanti nel nostro paese e brusche frenate nell’itinerario che potrebbe portarli, attraverso l’intesa con lo Stato italiano, a usufruire di molti benefici, ivi compreso l’otto per mille. Se questi sospetti sono veri sulla questione immigrazione si gioca, come per grazia di Dio anche certi laici hanno iniziato a comprendere, il futuro della libertà culturale dei cattolici. Che, com’è noto, è anche quella di tutti gli italiani.

LA PASTORALE BIFFI LETTA DA UN POLITOLOGO

Ma quanto è laico, Eminenza!
È un uomo di Chiesa a dare una lezione ai ministri dello Stato sul problema immigrati
di Giovanni Sartori
Sartori è attualmente "Albert Schweitzer professor in the Humanities" alla Columbia University di New York e docente di Scienza della politica all’Università di Firenze. Autore di numerosi saggi, è editorialista del "Corriere della Sera".
L'Espresso, 28.09.2000

La nota pastorale del 13 settembre dell'arcivescovo di Bologna, cardinale Giacomo Biffi, è stata lanciata così dall'Ansa, la nostra massima agenzia di stampa: "Immigrazione. Biffi allo Stato: favorite i cattolici". Le agenzie di stampa devono, appunto "lanciare". E di quel lancio sono stato un po' vittima anche io perché - subito intervistato telefonicamente - ho troppo precipitosamente risposto che «quella tesi non mi convince per niente». Che non mi convinca resta vero. Ma dopo aver letto l'intero testo del cardinale devo fare ammenda e desidero riconoscere che quel testo, nel suo insieme, fa onore al suo estensore.

Per una volta - mi succede oramai di rado - mi inchino.

Certo, l'ottica dell'uomo di Chiesa è diversa da quella del laico, e quindi da quella del sottoscritto. Il cardinale Biffi deve dare priorità alla sua fede, e perciò alla "buona religione". A me interessa, invece, la "buona società". Ma ferma restando questa differenza di fondo e di priorità, l'intervento del cardinale mi fa riflettere su quanto una "fede intelligente" sia vicina e conciliabile con la "intelligenza della ragione".

Seguo, nel citare, l'ordine della esposizione del cardinale di Bologna.

1. «Dobbiamo riconoscere che il fenomeno di una massiccia integrazione ci ha colti un po' tutti di sorpresa. È stato colto di sorpresa lo Stato... che pare non abbia ancora recuperata la capacità di gestire razionalmente la situazione riconducendola entro le regole irrinunciabili... di una ordinata convivenza civile. E sono state colte di sorpresa anche le comunità cristiane... sprovviste sinora di una visione non astratta, non settoriale... Le generiche esaltazioni della solidarietà e del primato della carità evangelica... si dimostrano più bene intenzionate che utili quando non si confrontano davvero con la complessità del problema e la ruvidezza della realtà effettuale». Queste, è proprio il caso di dire, sono parole sante. E davvero responsabili.

2. «Non è compito della Chiesa come tale di risolvere ogni problema sociale». Più che vero. Ma fa piacere che sia un cardinale ad asserirlo, e che poi sia un alto prelato a ricordare allo Stato quali siano i suoi doveri. Occorre, scrive, che «ci si preoccupi seriamente di salvare l'identità propria della nazione. L'Italia non è una landa deserta senza storia, senza tradizioni vive e vitali, senza una inconfondibile fisionomia culturale e spirituale, da popolare indiscriminatamente come se non ci fosse un patrimonio di umanesimo e di civiltà che non deve andare perduto».

Anche le comunità cristiane «non possono non valutare attentamente i singoli e i diversi gruppi»; ma, alla fin fine, i criteri per ammettere gli immigrati sono di competenza delle autorità civili, e sino a che quei criteri «non possono essere solamente economici e previdenziali», e che «le condizioni di partenza dei nuovi arrivati non sono egualmente propizie» ai fini di «una possibile e auspicabile...integrazione». Di nuovo, parole sante. E fa dispiacere dover notare che una lezione come quella impartita dal cardinale di Bologna non ci sia mai o quasi mai arrivata dai nostri politici.

Tra l'altro, non ci è mai arrivata dalle nostre cattolicissime Maria Rosa Russo Jervolino quando governava il Viminale, né tantomeno dal ministro Livia Turco che ora risponde al Cardinale che «la legge più severa sull'immigrazione porta il mio nome». Davvero? Entrare clandestinamente in un paese è un reato, così come è un reato rifiutare di fornire le proprie generalità. E la severissima legislazione italiana cosa fa? Fornisce al clandestino anonimo un foglio di via e poi lo rilascia, e così di fatto lo fa entrare e gli consente di sparire. Peccato che il cardinale Biffi non la possa sostituire. Pur essendo anche lui cattolico, farebbe molto meglio di lei.

3. Il punto dolente dell'immigrazione è quello dell'immigrazione islamica. Il presule di Bologna lo dichiara senza perifrasi: «Il caso dei musulmani va trattato con una particolare attenzione. Essi hanno... un diritto di famiglia incompatibile con il nostro, una concezione della donna lontanissima dalla nostra (sino ad ammettere la pratica della poligamia). Soprattutto hanno una visione rigorosamente integralistica della vita pubblica... la perfetta immedesimazione tra religione e politica fa parte della loro fede irrinunciabile, anche se a proclamarla e a farla valere aspettano prudentemente di essere diventati preponderanti». Livia Turco si affretta a controbattere così: «Non dimentichiamo tutto ciò che accomuna e non divide le tre grandi religioni, il cristianesimo, l'ebraismo e l'islamismo».

In attesa che il ministro Turco mi ricordi quel che evidentemente io dimentico, mi pregio ricordarle (qualora sia lei a non saperlo) che la parola "Islàm" vuol dire sottomissione, che la parola araba per libertà - "horriayai" - esprime soltanto una situazione di non schiavitù (dal che risulta che il nostro concetto di libertà al positivo è estraneo alla concezione islamica del mondo), e che alla nostra separazione tra chiesa e Stato il musulmano contrappone la concezione dell'"Eddin-Dawa", che vuol dire religione-Stato. Ciò posto, le sarei davvero obbligato se una volta tanto precisasse che razza di cittadino italiano osservante delle leggi italiane risulterebbe dalla "cittadinizzazione" del suddetto islamico. Per ora un gruppettino di studenti islamici delle scuole genovesi ha chiesto che il crocefisso venga eliminato dalle aule, ed è stato subito accontentato. In barba alla vanteria della Turco che le leggi degli immigrati devono sottostare a quelle italiane. A me, laico, del crocefisso non faccio certo un caso capitale. Ma a lei, cattolica, l'episodio non appare un pessimo esordio della integrazione scolastica dell'islamico?

Max Weber distingueva tra etica della responsabilità (una moralità che mette in conto le conseguenze delle nostre azioni) e etica dei principii (nella quale la buona intenzione è tutto e il cattivo esito viene ignorato). L'etica della responsabilità è, se si vuole, impura perché è pilotata da un capire, mentre l'etica dei principii è pura, ma per ciò stesso ottusa (non sa, non capisce) e irresponsabile. La chiesa di Giovanni Paolo II ha largamente sposato una etica dei principî. Niente profilattici, anche se quel niente incrementa l'Aids. Niente contraccettivi, anche se quel niente produce un eccesso di centinaia di milioni di bambini destinati a morire di fame. La giustificazione è che provvederà la Provvidenza. In attesa stravince l'imprevidenza. Ben venga, allora, un cardinale che si ricorda dell'etica della responsabilità.

Ne sia lodato il Signore.

Immigrazione, dai cattolici
plauso e silenzi

di JENNER MELETTI
La Repubblica - Bologna, 3/X/2000

«Queste, se lei permette, sono cose nostre. Non ho nessuna intenzione di risponderle». Ci mette poco, il parroco di Nostra Signora della Pace, a troncare la conversazione. Ancor più veloce il parroco di Santa Caterina di Saragozza.
«Non intendo parlare». Appena più loquace il sacerdote che guida Nostra Signora della Fiducia. «Sono d’accordo con lui, anzi d’accordissimo».
Per chiarire: «lui» è il cardinale Giacomo Biffi, e le «cose nostre» sarebbero le reazioni delle parrocchie e le eventuali omelie sul suo discorso a proposito dell’immigrazione con l’invito a non costruire moschee se non c’è la "reciprocità" nei paesi arabi.
A volte, si riesce appena a dire «sua Eminenza cardinale Biff...» e dall’altra parte risuona il «clic» che blocca ogni comunicazione. Sembra quasi che, dall’altra parte del filo, ci sia paura.
Non una voce di dissenso, fra i parroci, e questo appare strano, in una Chiesa che è stata guidata dal cardinale Giacomo Lercaro, ed era pronta a discutere i problemi della città e del mondo, senza nascondere agli altri il confronto interno ed anche i contrasti.
SEGUE A PAGINA III

In questi giorni, le campane si sciolgono invece solo per il Principe della Chiesa che esalta il cattolicesimo come «religione storica nazionale» e dice che i musulmani vogliono «farci diventare sostanzialmente come loro». «Il cardinale racconta don Lorenzo Lorenzoni, di San Giacomo fuori le mura è una persona intelligente di cui mi fido: finora ci ha sempre azzeccato, e secondo me non ha sbagliato nemmeno stavolta, anzi. Anche nella mia parrocchia ci sono problemi seri per i matrimoni misti, con i musulmani che impongono alle donne le loro usanze e tradizioni. E invece ci sono i filippini che sono perfettamente integrati. Come vede, il nostro cardinale ha colto nel segno».
Esulta padre Pellegrino Santucci, dei Servi di Santa Maria. «Biffi ha detto ciò che tutti noi pensiamo. Questa è la verità, e la scriva giusta. L’accoglienza è un dovere, ma sono proprio i musulmani a dire che la loro è una guerra santa. "Con le vostre leggi lo ha detto uno dei loro capi in un’intervista nei giorni scorsi noi facciamo i nostri comodi e vi seppelliamo tutti". E noi dovremmo stare qui ad accettare un’invasione?».
San Giovanni in Monte è nel cuore del centro storico. Monsignor Angelo Magagnoli, il parroco, dice che quella del cardinale «è una nota bellissima, che sveglia gli uomini». «Ne ho parlato durante l’omelia di domenica, e ne ho discusso anche nel consiglio pastorale. Vede, noi abbiamo un servizio delle Acli che aiuta tutti, anche i musulmani, ma il cardinale ci ricorda il nostro primo dovere, che è quello di evangelizzare. E poi, bisogna contrastare la prepotenza dei musulmani. Proprio adesso sto leggendo le notizie che arrivano dalle Molucche e dalla Polinesia, dove i musulmani distruggono le chiese cattoliche. Il discorso di Biffi ci voleva proprio».
Anche nella parrocchia di Gesù Buon Pastore, al Navile, nel pomeriggio di ogni giovedì si distribuiscono abiti e cibo «a tutti gli immigrati». «In gran parte dice don Tiziano Fuligni sono i nostri fratelli del nord Africa, che vivono nel centro di accoglienza di via della Cooperazione. La cosa bella è che vengono solo qualche volta, appena arrivati in Italia, e poi riescono a trovare una casa ed un lavoro. Io li rispetto e loro mi rispettano. Il discorso del cardinale è importante perché porta avanti la nostra identità di cristiani. Tutti gli uomini sono uomini, ma chi è battezzato è un fratello, chi non lo è deve venire da noi chiedendo permesso. E nessuno può chiedere a noi di smettere di essere cristiani».
La Caritas, sempre in prima linea sul fronte immigrazione, avrà qualche ripensamento? ««Il bisogno di un uomo risponde don Giovanni Nicolini, direttore dell’associazione che è «il tramite fra l’eucarestia e la carità» fa di lui un fratello. Nessuna discriminazione, dunque, per quanto attiene agli aiuti concreti». Quelli del cardinale, secondo don Nicolini, sono «pensieri provocanti, ed il magistero di un vescovo non è un documento dogmatico». Ma la riflessione sull’immigrazione «deve davvero essere studiata in ogni suo aspetto, perché davvero importante». «Il cardinale non ci dice che dobbiamo impegnarci meno per chi ha bisogno. Ci dice che chi arriva porta tradizioni diverse, e noi forse non abbiamo un’identità sufficientemente forte per fare sì che la nostra sia vera accoglienza. Certo, l’Islam è intollerante, ma noi siamo coscienti delle cose preziose che dobbiamo custodire? Io vivo in una comunità di monaci. Noi accogliamo tutti, ma tutti debbono conoscere la nostra identità. Soltanto così la nostra accoglienza è vera e proficua».
Don Nicolini fa un esempio. «Il cardinale ha ricordato la vicenda della chiesa di San Donato. C’erano immigrati che dormivano in strada, lì davanti, ed il cardinale ha fatto aprire la chiesa perché trovassero un riparo. Questo va bene. Ma non avrebbe mai concesso la chiesa perchè fosse trasformata in moschea».
Bisogna salire sui colli, per trovare fra i cattolici una voce di dissenso. Achille Ardigò, commissario del Rizzoli, dice subito che «il problema sollevato è serio, ma riguarda l’Europa tutta e non solo Bologna». «Se la Chiesa italiana decidesse un’azione propria per portare in Italia immigrati cattolici, nulla da dire. Se invece il cardinale chiede allo Stato italiano (del quale fra l’altro non è contento) un’iniziativa che richiami il do ut des, apre problemi con la nostra Carta costituzionale, e lo Stato italiano non può andare contro la Costituzione. Anche il problema della reciprocità esiste, ma l’Italia non può mettersi al livello di Paesi con ordinamenti arretrati». Riflette a lungo, il professore Ardigò.
«Come cattolico, mi sento di dire che le parole del cardinale dovrebbero corrispondere di più alla linea del Papa, alla sua grande profezia che apre alle religioni monoteistiche e alla discendenza di Abramo. Un’unione che implica anche carità. Certo, il cardinale Biffi mi sorprende. Quando pronunciò il suo splendido discorso in morte di don Giuseppe Dossetti, che io ho sempre seguito, disse che da giovane era stato dossettiano, e l’annuncio ci riempì di gioia. Oggi non lo capisco, non mi riconosco. Credo fermamente che dobbiamo essere più disponibili ad accogliere la grande profezia del Papa».

E’ impossibile non impegnarsi nell’accoglienza

Immigrazione
Editoriale di Italiacaritas
Avvenire, 4/X/2000 pag. 11

ROMA. "Ci confrontiamo" con l’immigrazione "in forza della fede e della carità" e "consapevoli dei forti costi umani di ogni sradicamento (pensiamo ai milioni di italiani emigranti)". E’ la posizione che la Caritas italiana sottolinea nell’editoriale di "Italiacaritas" di ottobre, che contesta l’immagine di una Chiesa e di una Caritas interessate a favorire l’immigrazione". Anche se ciò non toglie che "la Chiesa non poteva non impegnarsi nell’accoglienza, avrebbe tradito il Vangelo". La nota sottolinea che la Chiesa "non è un’agenzia sociale deputata a supplire le istituzioni. Ma può essere credibile in tutto il resto della sua proposta se non mostra che ogni uomo e donna –di qualsiasi popolo e religione- le stanno a comunque a cuore?".

"Sul piano civile –suggerisce l’editoriale- si tratta di impostare i rapporti con gli immigrati in termini di diritti e doveri, all’interno di uno stato laico che garantisce dignità e uguaglianza "senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali" (Costituzione italiana art. 3)".

Sul piano religioso, la Caritas spiega che "non è detto che l’annuncio esplicito che propone la conversione –desiderio di ogni autentico discepolo di Gesù, ma sempre dono dall’alto prima che frutto di strategie pastorali- sia il migliore approccio verso credenti di altre fedi, soprattutto se membri di comunità fortemente compatte. Talvolta la disponibilità al servizio, la tolleranza e il perdono (rimanendo saldi nella propria fede e limpidi nei comportamenti, offrendo e chiedendo pieno rispetto) sono già uno specifico evangelico, un vero e proprio "annuncio" al di là delle parole".

Islamici bolognesi: no a strumentalizzazioni

dal Televideo di Rete7, edizione n. 1574 pag. 105

Il Centro di Cultura Islamica bolognese vuole abbassare i toni delle polemiche suscitate dal cardinale Giacomo Biffi con l’allarme Islam-immigrazione.

Ma mette pure in guardia sulla possibilità di una strumentalizzazione delle sue parole. "L’intervento di Biffi –ha spiegato in una conferenza stampa Franco Chiarini musulmano bolognese- rischia di aprire la diga dell’intolleranza e può essere strumentalizzato da chi vuole legare impropriamente immigrazione e discriminazione religiosa".

"Ci hanno fatto molto piacere comunque –ha aggiunto- le dichiarazioni del presidente Prodi e del ministro Livia Turco, che hanno ricordato come la libertà religiosa sia alla base di uno stato laico". "A tutti, anche al cardinal Biffi, vogliamo ricordare che gli islamici sono aperti, chiunque può venire nel nostro centro. Anzi, alla base di questa polemica c’è molta ignoranza su cosa sia realmente l’Islam". "Noi vogliamo ribadire il nostro atteggiamento civile –ha sottolineato il responsabile del centro Nabil Bayumi- e se saremo ancora attaccati non risponderemo. Dal nostro punto di vista questa polemica è chiusa".

Chiesa senza arroganza

E Wojtyla esalta il dialogo
"Nessun disprezzo per le altre religioni, ma in Cristo l'unica salvezza"
di ORAZIO LA ROCCA
la Repubblica, 2/X/2000

CITTÀ DEL VATICANO - "Nessuna arroganza e nessun disprezzo per le altre religioni, ma solo riaffermazione di verità evangeliche alla luce dell'insegnamento di Cristo e sincero desiderio di dialogo con tutti". Papa Wojtyla "corregge" e spiega il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della congregazione della dottrina della Fede e custode dell'ortodossia cattolica. O meglio: papa Woityla, a sorpresa, dice la sua - ieri in piazza San Pietro nel mezzo della solenne rito della canonizzazione di 120 martiri cinesi e tre religiose - sul recente documento, Dominus Jesus, pubblicato da Ratzinger e giudicato da più parti come un freno all'ecumenismo e al dialogo interreligioso. Due, in particolare, gli aspetti della Dominus Jesus messi sotto accusa: il ruolo della Chiesa cattolica (da non equiparare alle altre chiese cristiane) e il riferimento al concetto di "salvezza" che, scrive Ratzinger, Dio riserva a tutti i suoi figli (credenti, non credenti e persino atei); ma che i cristiani sono, però, tenuti a vedere solo nel sacrificio di Cristo ed i cattolici nella "pienezza" della Chiesa cattolica. Ragionamenti respinti da ortodossi, ebrei, musulmano e, persino, da un cardinale, Edward Cassidy, presidente del pontificio consiglio per il dialogo interreligioso.
E forse anche per questo, , Giovanni Paolo II spiega che "nella Dominus Jesus, un documento da me approvato in forma speciale nell'anno del Giubileo, non c'è forma di arroganza che disprezza le altre religioni", nelle quali è possibile trovare anche quella salvezza che per i cristiani "scaturisce" direttamente da Cristo. Quanto al rapporto che le altre Chiese sorelle, Wojtyla - pur senza usare questa espressione - sottolinea che "la Chiesa cattolica soffre, come dice il Documento del cardinale Ratzinger, per il fatto che vere Chiese particolari e comunità ecclesiali con elementi preziosi di salvezza siano separate da lei".
"La nostra confessione di Cristo come unico figlio mediante il quale noi stessi vediamo il volto del Padre, non è arroganza che disprezza le altre religioni - sottolinea ancora il Papa - ma gioiosa riconoscenza perchè Cristo si è mostrato a noi senza alcun merito da parte nostra... lo stesso - rimarca il Papa - vale anche per la questione ecumenica. Se il documento, col Vaticano II, dichiara che l'unica Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica, non intende con ciò esprimere poca considerazione per le altre Chiese e comunità ecclesiali". Da qui l'invito di Wojtyla a non leggere in maniera errata il documento-Ratzinger.

«Dominus Iesus», verità senza arroganza

IL TEMA All'Angelus di domenica un discorso su contenuti e intenti del testo, dopo le polemiche seguite alla pubblicazione
«Quella dichiarazione mi sta a cuore»: dal Papa la bussola per leggerla
«La confessione di Cristo non è disprezzo per le altre religioni ma riconoscenza gioiosa: egli ci si è mostrato senza alcun nostro merito»
Avvenire, 3/X/2000

Quasi un mese è trascorso da quando, il 5 settembre, la Congregazione per la dottrina della fede presentava la dichiarazione «Dominus Iesus». Un mese di riflessioni su un testo dedicato a ribadire «l'unicità e l'universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa». Ma un mese, anche, di polemiche alimentate da chi ha letto in quel pronunciamento firmato dal cardinale Ratzinger, e approvato dal Papa «in forma speciale», una brusca sterzata della Chiesa cattolica nel dialogo con le altre confessioni cristiane e le grandi religioni. A smentire questo approccio, nel frattempo, è intervenuto il cardinale Cassidy, che guida il dicastero "ecumenico" del Vaticano, secondo il quale «i contenuti sono quelli del Vaticano II» in un testo comunque «indirizzato al mondo accademico e non al mondo ecumenico e interreligioso». Di «presentazione unilaterale e un po' distorta» dai media ha invece parlato il segretario della Cei, monsignor Antonelli, il quale ha consigliato a tutti «una lettura diretta», che in particolare «dovrebbe rassicurare i nostri amici ebrei». Proprio da loro la dichiarazione non era stata gradita, al punto da fargli rinunciare alla Giornata giubilare dell'amicizia ebraico-cristiana in programma domani e invece, proprio per questa defezione, rinviata sine die. Vanno dunque lette con attenzione le parole che Giovanni Paolo II ha dedicato al testo durante l'Angelus di domenica. Assai accorato Papa Wojtyla nelle sue espressioni: ha parlato infatti di dichiarazione che «mi sta a cuore», mentre ha precisato che confessare Cristo come unico mediatore del Padre «non è arroganza» ricordando che il documento esprime «la stessa passione ecumenica» che «è alla base della mia enciclica "Ut unum sint"». Per questo l'«Osservatore romano» ieri descriveva il breve discorso papale (che pubblichiamo qui accanto) come «una "bussola"» composta con parole «chiare e solenni»: di più, «definitivamente illuminanti» perché il testo dell'ex Sant'Uffizio «non venga insidiato persino nella interpretazione di documenti ufficiali della Chiesa»: «Cadono così nel vuoto - conclude il giornale vaticano - interviste o dichiarazioni rilasciate da chicchessia».

«Al vertice dell'Anno Giubilare, con la dichiarazione "Dominus Iesus" - Gesù è il Signore - approvata da me in forma speciale, ho voluto invitare tutti i cristiani a rinnovare la loro adesione a Lui nella gioia della fede, testimoniando unanimemente che Egli è, anche oggi e domani, "la via, la verità e la vita" (Gv 14,6). La nostra confessione di Cristo come unico Figlio, mediante il quale noi stessi vediamo il volto del Padre (cfr Gv 14,8), non è arroganza che disprezza le altre religioni, ma gioiosa riconoscenza perché Cristo si è mostrato a noi senza alcun merito da parte nostra. Ed Egli, nello stesso tempo, ci ha impegnati a continuare a donare ciò che abbiamo ricevuto e anche a comunicare agli altri ciò che ci è stato donato, perché la Verità donata e l'Amore che è Dio appartengono a tutti gli uomini. Con l'Apostolo Pietro noi confessiamo "che in nessun altro nome c'è salvezza" (Atti 4,12). La dichiarazione "Dominus Iesus", sulle tracce del Vaticano II, mostra che con ciò non viene negata la salvezza ai non cristiani, ma se ne addita la scaturigine ultima in Cristo, nel quale sono uniti Dio e uomo. Dio dona la luce a tutti in modo adeguato alla loro situazione interiore e ambientale, concedendo loro la grazia salvifica attraverso vie a lui note (cfr "Dominus Iesus", VI, 20-21). Il documento chiarisce gli elementi cristiani essenziali, che non ostacolano il dialogo, ma mostrano le sue basi, perché un dialogo senza fondamenti sarebbe destinato a degenerare in vuota verbosità. Lo stesso vale anche per la questione ecumenica. Se il documento, con il Vaticano II, dichiara che "l'unica Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica", non intende con ciò esprimere poca considerazione per le altre Chiese e comunità ecclesiali. Questa convinzione s'accompagna alla consapevolezza che ciò non è merito umano, ma un segno della fedeltà di Dio che è più forte delle debolezze umane e dei peccati, confessati da noi in modo solenne davanti a Dio e agli uomini all'inizio della Quaresima. La Chiesa cattolica soffre - come dice il documento - per il fatto che vere Chiese particolari e comunità ecclesiali con elementi preziosi di salvezza siano separate da lei. Il documento esprime così ancora una volta la stessa passione ecumenica che è alla base della mia enciclica "Ut unum sint". È mia speranza che questa dichiarazione che mi sta a cuore, dopo tante interpretazioni sbagliate, possa svolgere finalmente la sua funzione chiarificatrice e nello stesso tempo di apertura. Maria, a cui il Signore sulla croce ci ha affidati quale Madre di tutti noi, ci aiuti a crescere insieme nella fede in Cristo, Redentore di tutti gli uomini, nella speranza della salvezza, offerta da Cristo a tutti, e nell'amore, che è il segno dei figli di Dio».

Libertà religiosa in Europa

Prodi risponde a Biffi e inaugura un tempio sikh
dal nostro inviato MARCO MAROZZI
la Repubblica, 2/X/2000

NOVELLARA (Reggio Emilia) - Romano Prodi il cardinal Biffi non lo cita mai. Però parte da chi, nella Curia italiana, è all'opposto rispetto al vescovo di Bologna: il milanese Carlo Maria Martini. Da lui prende la "convivialità delle differenze" per sviluppare un ragionamento che usa gli stessi termini di Biffi, "laicità dello Stato", "pluralismo", "libertà religiosa", rovesciandone il significato rispetto a quello proclamato dal presule petroniano. Due visioni.
Chissà se Biffi pensava anche a Prodi quando, nella sua crociata contro l'Islam, se l'è presa con "l'insipienza di troppi cattolici, soprattutto quelli più acculturati e loquaci". Di certo ieri sera non doveva essere molto contento di quel che è andato a fare, in una domenica di pioggia, il suo "parrocchiano": inaugurare un tempio sikh a Novellara, Bassa Reggiana, ed utilizzare l'occasione per proclamare che "una società che non sia ormai multietnica e pluralistica è nel nuovo mondo è destinata a chiudersi". Proprio il giorno dopo che Biffi, il suo vescovo, aveva chiesto di impedire l'apertura di moschee in Italia visto che nei Paesi mussulmani "è impossibile praticare liberamente il cristianesimo".
Cattolica legge del taglione? Prodi davanti ai Sikh d'Italia è andato ad affermare che la sola discriminante perché un Paese in Europa sia "casa di tutti", nativi ed immigrati, è che tutti rispettino "la legge comune" di quello Stato. E accanto a sé aveva un rappresentante dei musulmani d'Italia, il professor Mahmoud Salem Elsheilch. Questi, membro della Commissione per l'integrazione degli immigrati creata presso la Presidenza del Consiglio, docente di filologia italiana all'università di Firenze, poco prima aveva duramente criticato Biffi. "Parla a nome di una Chiesa cattolica, non nascondiamolo, assolutamente contraria a che si stipuli un'intesa fra la comunità islamica e il governo italiano. Mica a caso ha parlato adesso: questa settimana dovrebbe essere discussa alla Commissione affari costituzionali la legge sulla libertà religiosa presentata da Prodi nel '97 e ferma da allora. Spero che i politici invece di indignarsi tutelino anche i diritti di cittadini italiani come me". E alla fine il professore ha persino criticato Prodi che pur l'aveva chiamato nel '97 nell'organismo governativo. "Mi ha deluso. Aspettavo che si pronunciasse apertamente e non l'ha fatto".
In ogni caso, pur con tutte le prudenze del personaggio, aumentate dal ruolo internazionale, il presidente della Commissione europea ha scommesso - come nessun altro politico cattolico - il suo peso per far capire che lui con Biffi non è proprio d'accordo. Gioco di detti e non detti, magari curiali, ma non ardui da comprendere.
"Uno dei diritti fondamentali in un'Europa pacifica - ha ricordato - è la libertà religiosa, fondamento della Costituzione italiana e punto cardinale della convivenza e della cultura europea". I Sikh l'hanno salutato con i loro alleuja. Torte vegeteriane per la festa, turbanti e piedi nudi, uomini, donne, bimbi arrivati dal nord dell'India, alcune migliaia in Italia, per lo più braccianti.
Quello di Novellara è uno dei loro nove tempi nel nostro Paese. All'inaugurazione, che ha richiamato tutte le minoranze religiose della zona, c'era il parroco del paese con un messaggio del vescovo di Reggio, Adriano Caprioli, c'erano gli amministratori di sinistra di questa terra.
"Noi - ha raccontato a tutti Prodi - siamo chiamati a costruire in Europa e nel nostro paese, come ha detto con molta saggezza il cardinal Martini, la convivialità delle differenze. Ciò vuol dire che sappiamo che siamo differenti ma che possiamo stare insieme bene, dialogare, fonderci, lavorare insieme. Questo è il concetto emerso anche in tante recenti dichiarazioni del Papa. Questo deve essere il fondamento della convivenza laica nella società e nello Stato". "La nostra identità - ha insistito - la garantiamo con il confronto e il dialogo, non la chiusura e l'isolamento. E nel rispetto comune ed assoluto della stessa legge lo Stato laico diventa la casa di tutti". In questa luce porte aperte agli immigrato "contributo attivo straordinario", anche se Biffi li vuole cattolici.

Linea morbida o dura? Il Vaticano sceglie

Al bivio il dialogo con gli Altri
La Stampa, 2/X/2000

TOR Vergata è fisicamente molto lontana da questa Lisbona atlantica, assai prossima a Fatima, città veramente fatale. Celebrammo quella straordinaria adunanza di giovani con stupore e rispetto; laici laicisti e credenti convinti celebrammo, increduli, ammirati, una insospettabile gioventù pulita, innamorata di Gesù, affezionata al Grande Nonno, Giovanni Paolo II, ma niente affatto codina. Culminò, quella incredibile radunata, nell’abbraccio fra Karol e Domingo, tra il Papa e il ragazzo angolano che aveva pubblicamente perdonato gli sterminatori di tutta la sua famiglia. Ecco il senso di questo Giubileo frutto della «santa ostinazione» di Giovanni Paolo II; ecco il senso del perdono che fa nuova, postmoderna addirittura, l’antichissima Chiesa di Roma: così ragionammo in molti. Laici e credenti. E pensammo, allora, che altro non fossero se non pettegolezzi le «notizie» che correvano a Roma su (presunte) spaccature in Vaticano. Tra «progressisti» e «conservatori»; tra «moderati» e «fondamentalisti». Ma qualche autorevole addetto ai lavori scrisse di «confronto tra correnti in seno alla Chiesa», e uno di loro parlò francamente di Conclave cominciato in anticipo. Di più: alla vigilia della «tre giorni» di Lisbona: «Oceani di Pace-Religioni e Culture in Dialogo» indetta da quel Patriarcato in collaborazione con la Fondazione Mario Soares e organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio alla quale il Papa, quattordici anni fa, dopo la prima conferenza ecumenica di Assisi, aveva passato il testimone, ebbene nell’immediata vigilia dell’accadimento ecco l’intervento del Cardinale Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (l’ex Sant’Uffizio), intitolato Dominus Jesus . Ai giornalisti convocati in sala stampa, Ratzinger «ricorda» che esiste una sola religione perfetta, quella cattolica, depositaria della verità in grazia del sacrificio di Gesù il Cristo, Parola incarnata. Detto brutalmente, Ratzinger avrebbe così sconfessato il dialogo interreligioso, la preghiera ecumenica (riferendosi implicitamente alla tredicesima prevista, appunto, a Lisbona). Sarà stato un caso, ma è accaduto che dopo la ruvida sortita di Ratzinger, il Papa abbia ricevuto in udienza il Vescovo Vincenzo Paglia, storico assistente spirituale della Comunità di Sant’Egidio, e Andrea Riccardi, fondatore e presidente della Comunità: «L’udienza precede di pochi giorni il XIII incontro «Uomini e Religioni» organizzato da Sant’Egidio, in programma a Lisbona dal 24 al 26 di settembre». Giovanni Paolo II riafferma, dunque, la «necessità del dialogo interreligioso» tuttavia le dichiarazioni di Ratzinger provocano la levata di scudi dei protestanti italiani che, offesi e delusi, annullano il viaggio a Lisbona. Anche il Rabbino capo di Roma, il venerando Toaff, prende cappello ma, poi, per non soffiare sul fuoco, comunica a Monsignor Paglia che a rappresentarlo sarà, a Lisbona, il professor Riccardo Di Segni, Rabbino vicario di Roma. E Di Segni intensamente parlerà della funzione salvifica della preghiera, insistendo sul significato simbolico del luogo dove si svolge quella ecumenica, cioè Libsona: «sede, nei secoli passati, ancora fino al 1752, di una sistematica, continua, orribile persecuzione di una religione verso un’altra di minoranza», quella ebraica. E Giuliano Amato, presidente del consiglio, allungherà la via del ritorno a Roma per far tappa a Lisbona. Qui, insieme con il presidente del Portogallo, col patriarca di Lisbona, con il primo ministro del Marocco, col principe Hassan di Giordania, con Andrea Riccardi e col Rabbino Sirat, presidente del rabbinato europeo, parteciperà alla assemblea d’apertura.
Sotto il cielo abbagliante di Lisbona, si susseguono le tavole rotonde, le conferenze, i dibattiti: il dialogo interreligioso va avanti e spicca l’appassionata partecipazione dei protestanti (ci sono tutti, salvo gli italiani), degli ebrei, degli islamici. L’incontro si concluderà come oramai accade da 13 anni, con un messaggio del Papa, questo è certo: epperò cosa dirà il Papa? «Frenerà» come usa dire nel neo-volgare italico, ovvero scioglierà ogni equivoco, solleverà gli animi di questi «pacifisti anomali» che sono gli ospiti di Sant’Egidio, l’Onu di Trastevere?
Il Papa non ha «frenato» come sappiamo, il suo messaggio, letto nella piazza del Municipio, al termine della processione ecumenica, da un raggiante Cardinale Cassidy, ringrazia ed elogia «in modo particolare la Comunità di Sant’Egidio per l’entusiasmo e il coraggio spirituale con cui ha saputo raccogliere il messaggio di Assisi e portarlo in tanti luoghi del mondo attraverso gli incontri di uomini di religione diversa». (...). Sono convinto che lo "spirito di Assisi" costituisca un dono provvidenziale per il nostro tempo. Nella diversità delle espressioni religiose, lealmente riconosciute come tali, stare gli uni accanto agli altri manifesta anche visibilmente l’aspirazione all’unità della famiglia umana (...). All’inizio del nuovo Millennio non dobbiamo rallentare i nostri passi, semmai è necessario imprimere una accelerazione maggiore a questo promettente cammino».
Quindici minuti di applausi in piazza, commozione, abbracci sul palco tra rabbini, imam, sacerdoti buddisti, protestanti, cattolici. Il patriarca José da Cruz Policarpo sorride con le lacrime agli occhi mentre stringe la mano del signor Levy, capo della comunità ebraica di Lisbona, stravolto dall’emozione. E’ successo che dopo la meditazione nei rispettivi luoghi di culto, ecumenicamente tutti si siano raccolti nella piazza della vecchia sede dell’Inquisizione, per dedicarsi alla «purificazione della memoria». Rivolto ai «fratelli maggiori», il Patriarca ha scandito umili parole di pentimento: «Questo centro storico di Lisbona, dove noi oggi ci abbracciamo, fu in passato teatro di violenze intollerabili contro il popolo ebreo. Non dobbiamo mai dimenticare la triste sorte dei Cristãos Novos : le pressioni perché si convertissero; le aggressioni popolari, i sospetti, le delazioni, i processi dell’Inquisizione. Come comunità maggioritaria in questa città per quasi mille anni, la Chiesa cattolica riconosce che la sua memoria è profondamente macchiata da questi fatti tante volte compiuti in suo nome, che sono indegni della persona umana e del Vangelo che ella annuncia. In un atteggiamento di conversione, che è personale ed espressione della mia comunità, ripeto solennemente oggi, davanti a Dio e a tutti voi, il richiamo del Concilio Vaticano II ( Nostra Aetate , 5)».
Epperò, insistono autorevoli personaggi vaticani, sbaglierebbe chi volesse vedere nel messaggio del Papa una sconfessione del Cardinale Ratzinger. Il fatto è che il problema del dialogo interreligioso è un problema. E non da oggi. Nel suo famoso libro-intervista (215 pagine) con Vittorio Messori, è possibile riconoscere le odierne preoccupazioni di Ratzinger. Aumentate, semmai. Egli, come del resto il Papa, è un «riformatore intelligente» (la definizione è del celebre vaticanista spagnuolo Juan Arias), entrambi sono uomini di certezze. Nel 1972, tracciando il bilancio del Vaticano II, Ratzinger adopera per la prima volta la parola «crisi». Tre anni dopo, egli incalza: «Non tutti i Concilii validi si sono rivelati alla prova dei fatti della Storia, come Concilii utili». E aggiunge: «E’ stato il Concilio una falsa strada da cui si deve tornare indietro per salvare la Chiesa?». E a questo interrogativo egli stesso risponde: «Il Concilio non deve essere archiviato». Da qui l’esortazione ad andare avanti, senza stancarsi, senza scoraggiarsi sulla via del dialogo interreligioso. Tutto questo, ci vien detto, per ribadire la «edificante consonanza» tra il Pontefice e il Cardinale. Tra il profeta postmoderno e il bavarese teologo di ferro. Entrambi sono «conservatori» nell’accezione positiva del termine. Cioè custodi dei principi-pilastri sui quali si regge, sin dal tempo di Paolo e di Pietro, la Chiesa di Roma. Entrambi, e non potrebbe essere altrimenti, credono profondamente nella specificità della Chiesa di Roma.
Rimane che il Cardinale Ratzinger abbia detto cose magari non nuove ma ruvide proprio alla vigilia del convegno di Lisbona. Un incidente di percorso? Sia come sia sarà opportuno ricordare come a preoccupare massimamente il Cardinale Ratzinger sia la deriva della società contemporanea afflitta dal neo-relativismo. Viviamo, infatti, un tempo boreale, areligioso. La crisi della Chiesa è più che una preoccupazione. E qui rischiamo il paradosso. Sfioriamo l’inopinabile. Dopo Fatima, dopo il 15 di maggio, s’è detto e scritto come fosse oramai assodato essere apocrifo quel testo che annunciava una terribile crisi della Chiesa di Roma. Un testo pubblicato per la prima volta dal giornale tedesco Nuova Europa , nel 1963, poi ripreso da un settimanale italiano di destra, nel 1965, e nel 1975 dall’ Araldo di Sant’Antonio . Oggi quel testo viene diffuso ostinatamente da diversi siti internet. Sul Corsera il giornalista Michele Brambilla ne elenca qualcuno, per esempio easynet.it/saras/segretodifatima.
Quel testo dice fra l’altro: «Anche per la Chiesa verrà il tempo delle sue più grandi prove. Cardinali si opporranno a cardinali. Vescovi a vescovi (...). A Roma ci saranno cambiamenti (...). La Chiesa sarà offuscata». Il mariologo padre Stefano De Fiores, della Gregoriana, definì dopo la rivelazione del terzo segreto di Fatima, quel testo apocrifo «una leggenda nera» frutto delle interpretazioni arbitrarie dei tradizionalisti. Ma è un fatto che la Chiesa rischi la crisi a causa del neo-relativismo, a causa come scrive sull’ Avvenire il salesiano Angelo Amato, di un malinteso «pluralismo religioso», a causa di certi brontosauri che allignano in Vaticano e fuori. Le chiese vengono disertate dai giovani: altro sintomo di crisi. Ma là dove il Vangelo viene letto con gli occhi di oggi, là dove non si ha paura di chiedere perdono all’Altro, i giovani sono presenti numerosi. I giovani cercano certezze, vogliono essere rassicurati. E lui, il Grande Nonno, Giovanni Paolo II, sa capirli. E loro gli credono. Perché egli è severo, perché sa conservare i valori nel suo grande cuore stanco e trasmetterli, con la parola, con un semplice gesto, ai giovani. Perché ha il coraggio di fare un passo indietro, se necessario. C’è da stare in guardia, come fa Ratzinger, ma per sua fortuna la Chiesa non è Jurassic Park e le «divisioni del Papa» marciano lente ma decise sulla grande strada lunga aperta in Assisi quattordici anni fa da Wojtyla, nel segno della condivisione, dell’accettazione dell’Altro.

Il «parroco ribelle» denuncia il card. Biffi

«Incita alla discriminazione razziale e religiosa»
La Stampa, 2/X/2000

NAPOLI
INCITAMENTO alla discriminazione razziale e religiosa»: è questa l’accusa che don Vitaliano Della Sala, parroco di Sant’Angelo a Scala, un paesino di seicento anime in provincia di Avellino, muove al cardinale Giacomo Biffi. Trentasette anni, molto vicino ai centri sociali, reduce dalle manifestazioni a Praga del popolo di Seattle, Della Sala ha inviato un esposto alla procura della repubblica di Bologna chiedendo ai magistrati di verificare se il prelato abbia commesso dei reati per le sue dichiarazioni sugli immigrati di fede musulmana.
Don Vitaliano, quando ha deciso di fare questo passo?
«Subito dopo avere ascoltato l’intervento del cardinale. Ho pensato che quelle parole non potevano passare senza una reazione forte: un uomo di chiesa non può seminare sentimenti che non siano di solidarietà e amore».
Una denuncia alla magistratura le sembra un atto di carità cristiana?
«E’ un gesto doveroso di fronte alle dichiarazioni così gravi del cardinale Biffi. La proposta di favorire l’immigrazione di extracomunitari cattolici e ostacolare quella dei musulmani è inconcepibile, dal punto di vista sia laico che cristiano. L’Italia non potrebbe mai attuare una simile politica senza violare la Costituzione che vieta ogni discriminazione religiosa. Occorre davvero ricordare a Biffi che per un cristiano tutti gli uomini, perfino i talebani, sono figli di Dio, buoni e cattivi, atei o credenti di qualsiasi religione? Prima di parlare, il cardinale farebbe bene ad approfondire la sua conoscenza degli immigrati».
Lei li conosce?
«Ho ospitato contemporaneamente per quattro anni nella mia parrocchia una famiglia di serbi ortodossi e un gruppo di albanesi musulmani: una convivenza assolutamente pacifica. Ma il cardinale Biffi mon è d’accordo, e con le sue dichiarazioni incita ad un odio razziale inammissibile per la nostra fede e per la Costituzione italiana».
Che cosa le ha dato più fastidio di quell’intervento?
«Tutto. Il fatto che i musulmani non consentano l’esistenza delle chiese cattoliche nel loro paese non concede ai cattolici il diritto di impedire la costruzione delle moschee. Purtroppo l’ostilità di Biffi nei confronti degli immigrati è condivisa da molti esponenti della Chiesa».
Perché?
«Evidentemente c’è chi non riesce a vivere senza un nemico. Un tempo c’era il comunismo da abbattere, oggi tocca all’Islam. Devo dire che il sentimento di paura verso ciò che è diverso da noi anche in campo religioso ha fatto breccia in molti sacerdoti. Invece dell’odio e della discriminazione, esponenti di primo piano della Chiesa come il cardinale Biffi dovrebbero predicare la solidarietà».
Don Vitaliano, si definirebbe un prete scomodo?
«Ho partecipato ad una serie di iniziative che non sono piaciute ai miei superiori. Nel ’94 ad Avellino interruppi un intervento del presidente della Camera dell’epoca, Irene Pivetti, per denunciare il fatto che in Irpinia, quattordici anni dopo il terremoto, c’era ancora gente costretta a vivere nei container. Nel ’98 sono andato nel Chiapas, poi nel Kurdistan e in Iraq, nel Kosovo in guerra e a Praga, con il popolo di Seattle. Ho pubblicamente accusato il cardinale Sodano di essere amico, se non complice, dell’ex tiranno cileno Augusto Pinochet... Vuole che continui?».
Ci sono state conseguenze?
«Alcune settimane fa l’abate di Montevergine, Tarcisio Nazzaro, da cui dipende la mia piccola parrocchia, mi ha fatto pervenire un pressante invito a non rilasciare interviste e a non partecipare a manifestazioni pubbliche di tipo sociale o politico».
Ha intenzione di obbedire?
«Le dico solo che qualche giorno dopo il messaggio dell’abate sono andato a Praga per la manifestazione».

Contestazione per Biffi

Verdi con cartelli e fischietti contro il cardinale
Manifestazione davanti alla chiesa di S. Giorgio in Poggiale prima dell’inaugurazione di una mostra
di LUIGI SPEZIA
La Repubblica - Bologna, 3/X/2000

CONTESTATO per le prese di posizione antiislamiche il cardinal Giacomo Biffi, che alla fine della visita ad una mostra è stato fatto uscire da una porta secondaria. Dopo le affermazioni del cardinale che preferisce gli immigrati cattolici ai musulmani e che mette in dubbio il diritto a costruire moschee in Italia, ieri pomeriggio ecco la risposta pubblica di un gruppo di manifestanti dei Verdi, convinti che le idee di Biffi rappresentino un ritorno alle concezioni medievali. Il gruppo, una decina di persone, si è riunito davanti al portone dell’ex chiesa di San Giorgio in Poggiale, in via Nazario Sauro, ed ha accolto con slogan e cartelli il cardinale, invitato con le altre autorità ad una mostra di soggetto religioso. Il cardinale è arrivato puntualissimo alle 18 e, sceso dall’auto, si è infilato alla mostra senza nemmeno rivolgere uno sguardo ai manifestanti, alla cui testa c’era Filippo Boriani, portavoce provinciale del Verdi.
Le scritte dei cartelli criticavano le affermazioni del cardinale sui rischi dell’immigrazione musulmana: «Biffi, le crociate sono finite» e l’altra, «Fosse per Biffi, Pietro non sarebbe mai arrivato a Roma», battuta che ha fatto sorridere qualcuno, ma non propriamente adatta al mondo musulmano. Scritte e slogan gridati, come «Biffi crociato, ritorna nel tuo Stato», sentiti distintamente dalle autorità invitate della mostra «Lungo le vie della devozione», realizzata a cura del Museo della Ceramica di Faenza. C’erano il sindaco Giorgio Guazzaloca, l’ex presidente della Fiera Dante Stefani, che ora è il presidente del Museo della Ceramica, l’assessore provinciale alla Cultura Marco Macciantelli e padre Tommaso Toschi, l’unico che si è fermato a scambiare qualche battuta con i contestatori, quando l’arcivescovo era già entrato.
Il gruppetto dei Verdi è rimasto mobilitato in via Nazario Sauro per circa mezz’ora ed è stato subito preso di mira dalla Digos, che ha identificato nove persone, anche se non ci sono stati momenti di tensione. La Curia non ha voluto commentare l’episodio, se non con la considerazione che ognuno è libero di manifestare le sue opinioni, e che comunque i contestatori, pur civilissimi, erano in un numero veramente esiguo.


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san Giovanni in Persiceto, 2-5/X/2000