Il Calendario Babilonese Standard

§122 Da sempre il ciclo lunare (luna nuova, primo quarto, piena, ultimo quarto) ha offerto una valida alternativa al ciclo solare delle stagioni per misurare periodi di tempo più brevi. Dalla lunazione dipende il concetto stesso di mese, benché oggi i nostri mesi si siano resi completamente autonomi da essa; solo la festa cristiana della Pasqua le è rimasta fedele, dovendo cadere la prima domenica dopo la prima luna piena primaverile. Come la nostra Pasqua dipende anche dall'equinozio di primavera (ovvero dal ciclo solare), così il ciclo lunare fu presto armonizzato con l'anno solare attraverso vari espedienti. E' in questi casi che si parla di calendari lunisolari.

Il calendario standard babilonese, ormai ben studiato, era quindi naturalmente basato sul ciclo lunare con mesi corrispondenti alle lunazioni, pur mantenendo una certa sincronia con l'anno solare attraverso il meccanismo delle intercalazioni.

I mesi del calendario babilonese standard

Il mese

§123 Il primo giorno del mese (neomenia) corrispondeva alla prima apparizione della falce di luna a ovest poco dopo il tramonto del sole; il giorno cominciava quindi alla sera. Il mese sinodico (da luna nuova a nuova) o lunazione misura mediamente poco più di 291/2 giorni. In epoca seleucide si alternavano quindi mesi pieni (30 giorni) a mesi difettivi (29 giorni); i necessari aggiustamenti rispetto al valore medio di 29.5306 giorni erano previsti grazie alla teoria sul moto lunare di cui ci sono giunte diverse tavolette. Il calendario lunare musulmano usa un principio simile quando trasforma 11 mesi difettivi in pieni nell'arco di 30 anni. Nei periodi più antichi si dipendeva invece dall'osservazione visuale e non è chiaro come i babilonesi reagissero ai ritardi causati dal brutto tempo. Poteva capitare che il calendario finisse per essere indietro rispetto alla luna osservata e si doveva quindi procedere a qualche correzione, sempre ufficializzata dal re. Con condizioni di tempo ideali, l'intervallo fra due prime apparizioni del crescente lunare varia irregolarmente fra 29, 30 e, molto raramente, 31 giorni.

Presupposti astronomici per la visibilità della falce di luna

§124 L'orbita lunare è inclinata di circa 5° rispetto al piano orbitale della terra che, in prospettiva terrestre, corrisponde al percorso apparente del sole in cielo durante l'anno (eclittica), e lo incrocia solo in due punti diametralmente opposti detti nodi. Tali nodi non sono fissi, ma slittano lentamente di orbita in orbita compiendo un'intera rotazione in circa 181/2 anni, spostandosi in senso opposto a quello del moto orbitale. Un'eclissi di sole, ad esempio, può avvenire solo se la luna è nuova al momento di attraversare un nodo, così da passare esattamente davanti al disco solare.

La luna è nuova quando si trova in congiunzione con il sole, cioè alla minima distanza apparente da esso. Non può essere osservata sia perché troppo vicina al sole che la copre con la sua luminosità, sia perché si mostra alla terra completamente buia, essendo rivolta al sole la faccia invisibile da terra. Solo in una delle prime sere seguenti, poco dopo il tramonto del sole quando il cielo è diventato leggermente più scuro, potremo scorgere una sottile falce di luna (il crescente) bassa sull'orizzonte occidentale. Se sia la sera seguente la luna nuova o, più facilmente, una delle due successive, dipende principalmente dall'altezza della luna sull'orizzonte al momento del tramonto del sole: maggiore sarà questa altezza, maggior tempo occorrerà prima cha anche la luna tramonti; nel frattempo il sole scenderà sempre più sotto l'orizzonte oscurando man mano il cielo. Tale altezza dipende da diversi fattori concomitanti:

§125 Con il trascorrere dei giorni la luna si allontana sempre più dal sole, ritardando man mano il proprio tramonto, mentre sulla faccia visibile da terra aumenta l'illuminazione del sole; la "gobba" della falce si mantiene rivolta verso il punto in cui si trova il sole. Quando la luna sarà piena, si troverà diametralmente opposta al sole che la illuminerà completamente, sorgendo grosso modo al tramonto del sole e tramontando all'alba, rendendosi così visibile per tutta la notte. Da questo momento la luna ricomincia ad avvicinarsi inesorabilmente al sole, mentre il lembo che si era illuminato per primo si immerge nel buio della notte lunare.

Nella lunazione successiva, le condizioni di visibilità del crescente lunare saranno variate: innanzitutto sarà differente l'intervallo di tempo trascorso fra l'istante di luna nuova e il successivo tramonto del sole; poi il sole avrà risalito una parte dell'eclittica variandone quindi l'angolo con l'orizzonte; la luna infine si troverà ad una differente latitudine eclittica.

Procedure moderne per il calcolo della durata del mese

§126 Oggi, grazie alle moderne teorie che tengono conto delle variazioni secolari delle orbite, siamo in grado di calcolare la posizione del sole e della luna con notevole precisione anche per tempi molto antichi. Sono due le variabili che danno ai risultati la possibilità di una certa fluttuazione:

* * *

§127 Una volta chiarite queste posizioni teoriche, Huber, calcolando 33000 crescenti lunari fra gli anni -2456 e +212, è giunto alle seguenti conclusioni:

Queste conclusioni rimangono valide fintanto che la neomenia dipende dall'osservazione visuale del crescente lunare. Dal momento in cui le evolute cognizioni matematiche babilonesi permisero la creazione di una teoria lunare (o comunque di un metodo per prevedere teoricamente la visibilità del crescente) sufficientemente precisa, l'effettiva durata del mese si rese indipendente dalla reale osservazione del crescente. Questo momento non è facilmente precisabile: generalmente lo si colloca verso il 500 a.C., tenendo presente che quando troviamo una prima teoria lunare ben definita in epoca seleucide, doveva esserci stata alle spalle una notevole fase di sviluppo.

Tithi

§128 Nei calcoli astronomici di periodo seleucide è molto interessante l'espediente dei tithi, usato per ovviare alla difficoltà di sapere esattamente quanti giorni sarebbe durato un mese.

Il termine tithi proviene dall'astronomia indiana e potremmo tradurlo come "giorno lunare"; i babilonesi non utilizzavano un vocabolo specifico: per loro era semplicemente sottinteso o valeva per "giorno". Un tithi è per definizione 1/30 del mese sinodico di 291/2 giorni solari e corrisponde infatti approssimativamente a un giorno solare.

Nelle tavole di periodo seleucide che prevedevano fenomeni planetari per diversi anni nel futuro, determinate funzioni fornivano il numero di giorni intercorrenti fra un evento significativo e l'altro, ma bisognava conoscere esattamente la sequenza interposta di mesi pieni e difettivi per stabilire il corretto giorno del mese. Calcolare tutta la sequenza di mesi secondo la teoria lunare sarebbe stato molto dispendioso a causa della sua complessità. La soluzione era data allora usando i tithi al posto (e come se fossero) dei giorni del mese: il numero di giorni lunari veniva considerato equivalente al numero di giorni solari, senza preoccuparsi dell'errore generato da questa semplificazione, generalmente non superiore ad un giorno.

L'anno

§129 Poiché 12 mesi di 29 e 30 giorni corrispondono circa a 354 giorni, ogni anno il calendario babilonese precedeva il ciclo solare (corrispondente all'anno tropicale di 365.2422 giorni) di 11 giorni. Ogni 3 anni era necessario aggiungere un mese (11 giorni l'anno x 3 anni = 33 giorni, poco più di un mese) per tornare in sincronia con le stagioni. La consuetudine alle attività agricole (caratterizzate dalla raccolta dell'orzo in primavera e del dattero in autunno nonché dall'alzarsi del livello dell'acqua nei fiumi in primavera) e alla pastorizia rendevano abbastanza evidente lo slittare delle stagioni, al di là delle misurazioni astronomiche sui punti di levata e tramonto o sull'altezza del sole.

Questo mese addizionale viene detto "intercalare", estendendo il concetto latino di "giorno intercalare", cioè il giorno iscritto fra il VI e il V giorno avanti le calende (il primo giorno del mese per i romani) di marzo negli anni bisestili (da bis-sexto "doppio sesto" giorno avanti le calende; nel nostro calendario è slittato al 29 febbraio). Si noti che sia "intercalare" che "calende" e "calendario" hanno una radice comune.

Inizio dell'anno

§130 L'anno cominciava in primavera, ovvero nei pressi di un evento astronomico determinabile come l'equinozio, quando il sole sorge e tramonta in punti diametralmente opposti e la durata di notte e dì è identica. Gli equinozi rappresentano il breve punto di equilibrio fra i domini del dio sole e del dio luna, preannunciando allo stesso tempo il passaggio verso un lungo periodo di preminenza dell'uno sull'altro; questa può essere la ragione per cui ad Ur era più importante quello autunnale, che precede la fase di signoria della luna. Gli equinozi sono quindi momenti carichi di forti valenze simboliche e religiose, sottolineate dalla concomitante festa cultuale dell'akītu, che si svolgeva nelle principali città fin dai tempi più antichi. L'akītu poteva segnare non solo l'inizio dell'anno, ma anche l'inizio di un anno di 6 mesi. Non a caso gli ebrei festeggiano tuttora il capodanno in autunno benché il primo mese dell'anno sia in primavera; gli inizi di autunno e primavera nella Bibbia sono detti rispettivamente teqūfat haššānā "uscir dell'anno" e tešūvat haššānā "ritorno dell'anno".

§131 Lo sfasamento fra ciclo solare e lunare rende impossibile una coincidenza costante fra l'equinozio e la neomenia: il compito delle intercalazioni era proprio quello di garantire che gli equinozi e i solstizi cadessero rispettivamente entro i mesi I, VII e IV, X. Anzi, secondo il famoso compendio astronomico detto MUL.APIN (databile verso il 1000 a.C.), probabilmente il punto di riferimento non era la neomenia ma la luna piena, ovvero equinozi e solstizi dovevano cadere il giorno 15 dei rispettivi mesi. Hunger e Pingree sottolineano come di fatto l'espressione "giorno 15" equivalga a "nel mezzo, entro (il mese indicato)": del resto la metà del mese è un punto di riferimento più conveniente per esser sicuri che l'evento avvenga entro il mese stesso. Tuttavia sarà bene ricordare che il MUL.APIN presuppone un calendario ideale (raffrontabile all'uso dei tithi) in cui 1 mese = 30 giorni e 1 anno = 12 mesi = 360 giorni. Al fine di rilevare lo sfasamento sul ciclo solare, erano utilizzati anche i solstizi (soprattutto quello estivo), sia per la facilità di determinarli approssimativamente (il moto apparente del sole rallenta e sembra quasi immobile per alcuni giorni attorno al solstizio) tramite l'osservazione della massima o minima altezza del sole a mezzogiorno (corrispondente all'ombra più corta o più lunga di uno gnomone), sia per il ritrovamento di schemi come quello di Uruk (con calcoli relativi agli anni 148-153 circa dell'era seleucide; probabilmente concepiti non prima del 380 a.C.) che serviva appunto per prevedere il solstizio estivo. Detto questo, bisogna però ricordare l'aspetto matematico delle previsioni babilonesi, che solo in parte attingevano o cercavano riscontro nelle osservazioni visuali o, perlomeno, presupponevano una notevole speculazione matematica a partire da esse. Insomma, sembra che l'importante fosse l'accordo del calendario con i solstizi e gli equinozi calcolati più che con quelli reali.

Intercalazioni

Procedure per determinare la necessità di un'intercalazione

§132 Il sistema calendariale babilonese non era un sistema uniforme e monolitico, ma ebbe un continuo sviluppo storico. Qui faremo riferimento in particolare al suo ultimo periodo di vita, entro la seconda metà del I millennio a.C., quando l'affinamento dei calcoli astronomici e la millenaria esperienza degli astronomi babilonesi avevano permesso la codificazione di alcuni schemi regolari di intercalazioni entro cicli di un determinato numero di anni.

La variabile principale del calendario babilonese è infatti rappresentata dall'inserimento del mese aggiuntivo o intercalare. Esso era sempre ordinato dal re sulla base delle osservazioni e dei calcoli degli astronomi. Dai testi astronomici del I millennio a.C. sappiamo che erano già note alcune procedure osservative per determinare la necessità di un'intercalazione, fra cui, ad esempio, quella detta "Pleiaden-Schaltregel" riportata anche nel MUL.APIN: "se la luna e le Plèiadi (il famoso asterismo nella costellazione del Toro) sono in congiunzione (cioè sono vicini) nel primo giorno del primo mese, è un anno normale; se sono in congiunzione nel terzo giorno, è un anno con mese intercalare". Se per i periodi più antichi il mese poteva essere aggiunto in qualsiasi momento dell'anno, nel I millennio a.C. era generalmente posto dopo il VI o, soprattutto, dopo il XII mese, ovvero subito prima dei due equinozi. Il re babilonese Nabonedo (metà del VI sec. a.C.) decretava ancora intercalazioni individuali; la stessa situazione esiste con Ciro e Cambise almeno fino al -525. Brevemente riprendo tre interessanti lettere neo-babilonesi citate da Parker e Dubberstein:

Con Metone ad Atene (430 a.C.) ed in epoca seleucide in Mesopotamia sono ben attestati cicli pianificati di intercalazioni ovvero schemi intercalari predisposti all'interno di determinati cicli calendariali; non vi è dubbio tuttavia che la loro prima introduzione e sperimentazione risalga all'inizio del periodo achemenide, nel momento di più forte espansione del potere persiano.

Il ciclo detto di Metone

§133 Come abbiamo già visto, è uno schema prefissato di intercalazioni all'interno di un ciclo di 19 anni. All'origine del ciclo c'è la consonanza fra 19 anni solari e 235 lunazioni. Infatti:

365.2422 giorni x 19 anni = 6939.602 giorni
29.5306 giorni x 235 lunazioni = 6939.691 giorni

con una differenza di circa 2 ore che corrisponde ad un giorno in oltre 200 anni! In pratica ogni 19 anni la luna ha la stessa età (lo stesso numero di giorni trascorsi dalla luna nuova) nel giorno dell'equinozio o in qualsiasi altro punto di riferimento nel corso dell'anno. Poiché 12 mesi x 19 anni = solo 228 mesi, si dovevano aggiungere 7 mesi intercalari. La distribuzione di questi all'interno del ciclo era data da uno schema ben preciso. Lo scopo doveva essere quello di ridurre il più possibile lo scostamento massimo dell'inizio dell'anno rispetto all'equinozio, ma sembra che non sia stato raggiunto completamente.

Prendiamo in esame i primi 19 anni dell'era seleucide (S.E.), in cui si faceva già uso del ciclo:

Il ciclo di Metone nei primi anni dell'era seleucide tav. 22
anni S.E. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19
intercalare XII - - XII - - XII - XII - - XII - - XII - - VI -

Benché gli autori antichi lascino intuire che il ciclo dovesse finire e non iniziare con un anno intercalare, l'evidenza dei dati farebbe supporre che l'unico anno con il VI mese intercalare fosse in realtà considerato come il primo del ciclo. Quindi:

Il ciclo di Metone tav. 23
anno 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19
intercalare VI - XII - - XII - - XII - XII - - XII - - XII - -

Secondo Hartner, il punto di inizio di un ciclo doveva coincidere il più possibile con l'equinozio di primavera, e questo avveniva proprio nell'anno con il VI intercalare. Evidentemente un ciclo di intercalazioni doveva essere entrato in vigore deliberatamente nel suo primo anno, risultando difficile immaginare che si sia iniziato ad utilizzarlo partendo dalla sua metà. Purtroppo il nostro "buon senso" potrebbe non coincidere necessariamente con le molteplici combinazioni della realtà dell'avvenire storico.

Introduzione del ciclo di Metone

§134 Secondo Hartner, dal 527 a.C. durante il regno di Cambise, il calendario babilonese era basato sull'ottaeteride cioè su uno schema prefissato di intercalazioni che si ripete ciclicamente ogni 8 anni. Questo ciclo non è perfetto e porta abbastanza velocemente ad una discrepanza con il ciclo delle stagioni. Nel 19° anno di Dario (503/502 a.C) si cominciò quindi ad usare il cosidetto ciclo di Metone, quando l'inizio dell'anno coincideva con l'equinozio di primavera e partendo dall'anno con il VI mese intercalare. Il 27 marzo 503 a.C., giorno della neomenia e dell'equinozio, era stato quindi deliberatamente scelto come principio di un nuovo sistema calendariale, la cui novità doveva portare anche qualche difficoltà nell'applicarlo: nel 21° anno (501/500 a.C.) infatti non viene inserito il XII mese intercalare che sarà recuperato l'anno seguente. Lo schema viene applicato correttamente a partire dal 24° anno (498/497 a.C.) benché siano note comunque alcune altre irregolarità nell'applicazione del ciclo.

Che gli anni 19°-24° di Dario siano un momento di transizione e novità da un punto di vista calendariale sembra confermato dalle molte particolarità che riscontriamo nelle tavolette da Persepoli riguardo le intercalazioni di quegli anni.

Procedure moderne per valutare l'inizio dell'anno

§135 Da un punto di vista moderno, risulta utile definire il concetto di sizìgia del nuovo anno. Sizigia significa etimologicamente "congiunzione, con-giogo" e può indicare propriamente sia la congiunzione fra sole e luna (luna nuova) sia l'opposizione della luna al sole (luna piena). Con sizigia del nuovo anno indichiamo la luna nuova immediatamente precedente il giorno 1 del I mese. In senso lato, indicheremo con essa la longitudine del sole (identica a quella della luna) sull'eclittica al momento della luna nuova in questione: poiché la longitudine eclittica del sole è 0° nel momento dell'equinozio, avremo così un riscontro immediato dello sfasamento dell'anno civile rispetto a quello solare. Fissando la sizigia del nuovo anno attraverso i testi che riportano osservazioni di eclissi nell'VIII e VII sec. a.C., Huber ha riscontrato un valore medio di 346°, che concorda molto bene con l'equinozio verso la metà del I mese (il sole percorre i rimanenti 14° in circa 14 giorni).

In epoca seleucide, il ciclo di Metone limita la sizigia del nuovo anno fra i valori di 358° e 25°, mediamente 12°. L'anno intercalare inserito prematuramente nel -384 diede luogo l'anno successivo ad una sizigia di 31°. Le sizigie degli anni ordinari sono comprese fra 8° e 25°, senza sovrapporsi quindi a quelle degli anni intercalari fra 358° e 7°; l'unico anno con il VI mese intercalare ha la sizigia più bassa (358°).

Indicazione

§136 Il mese intercalare era indicato con il nome del mese precedente (il VI o il XII) seguito dal numerale 2 o da 2.KAM da leggersi tašnīt "secondo". Il VI mese intercalare poteva essere indicato anche come KIN.A. Il XII mese intercalare poteva essere indicato anche come:

In alcuni casi la sola menzione di DIRIG o 2.KAM rende esplicita dal contesto l'indicazione del mese intercalare.

Il segno DIRIG
(da Labat 1988 n. 123)
I segni SI e A
(da Labat 1988)
Il segno DIRIG in neo-elamico
(da Steve n. 123)

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tratto da Basello Gian Pietro, Problemi calendariali nelle fonti elamiche di età achemenide
san Giovanni in Persiceto, 20/II/2001