Su alcune traduzioni di antroponimi e toponimi
nell'edizione italiana de Il Signore degli Anelli

Versione preliminare abbreviata
di Gian Pietro Basello

(29/III-5/IV/2005) Aggiornamento nella voce 'Puledro impennato'.
(17/II/2005) Correzioni di stile.
(5-6/II/2005) Aggiunta voce 'Ent'; aggiornamento nelle voci 'Baggins', 'Cactaceo', 'Mezzuomini', 'Decumani' e 'Mathom'.
(3/II/2005) Aggiornamento nelle voci 'Ucorni', 'Le due torri' e 'Smog'.
(30/I/2005) Aggiornamento nella voce 'Sabbioso'.
(28/I/2005) Aggiunta voce 'Tronfipiede'; aggiornamento nell'espressione 'Era questa la nostra casa?' nella sezione dedicata a Lo hobbit.
(26/I/2005) Qualche correzione di stile.
(25/I/2005) Aggiornamento nelle voci 'Cactaceo', 'Gaffiere' e 'Colle Vento'; aggiunte le voci 'Sabbioso', 'Le due torri', e la critica al paragone con Melkisedek di Zolla.
(21/I/2005) Aggiornamenti nelle voci 'Granburrone', 'Luoghi Lontani', 'Tumulilande'; aggiunta voce 'Chiane Ditteri' e nota sulla traduzione italiana de Lo Hobbit.
(16/I/2005) Aggiornamenti nelle voci 'Spettro dei Tumuli', 'Vermilinguo', 'Luoghi lontani', 'Ovesturia' e 'Tumulilande'.
Prime voci analizzate nel gennaio 2004; introduzione e ampliamenti 20/XII/2004 - 13/I/2005.
Saranno graditissime (e inserite nel testo) le opinioni e idee dei lettori.
Con 'edizione italiana' faccio riferimento al testo de Il signore degli anelli precedente alla revisione della Società Tolkeniana Italiana.
Su alcune traduzioni di antroponimi e toponimi nell'edizione italiana de Il Signore degli Anelli

Il signore degli anelli è un libro che non ha bisogno di alcuna introduzione. Dispiace trovare nell'edizione italiana quella di Elémire Zolla, e di trovarla ristampata anche dopo che la pubblicazione delle lettere di Tolkien ne ha smentito la sostanza e le singole argomentazioni.* Certo Il signore degli anelli è un libro cui non basta un traduttore: oltre a Vicky Alliata, l'edizione italiana ha anche un curatore, Quirino Principe. L'introduzione di Zolla chiarisce almeno certe scelte del curatore e del traduttore: costoro hanno trattato la narrazione alla stregua di una fiaba, forse perché del saggio di Tolkien Sulle storie di fate (On fairy-stories) era stato letto solo il titolo (vedi Introduzione, p. 6, nota 1). Di fiabesco ne Il signore degli anelli c'è ben poco, a partire dalle dimensioni della narrazione stessa. Il signore degli anelli appartiene al genere mitologico ed epico. Mentre la fiaba è qualcosa di palesemente inventato, la mitologia ha la pretesa di interpretare e fondare la realtà. Anche il pubblico è diverso: se non bastasse il suddetto saggio, nelle lettere (pubblicate successivamente all'introduzione di Zolla, a sua parziale discolpa) Tolkien afferma esplicitamente di non essere interessato ai bambini (Letters, n. 163, p. 216; n. 215, p. 297; n. 234, p. 309-310).

L'impostazione fiabesca di Zolla si riflette particolarmente nelle traduzioni di antroponimi e toponimi. Qui, per così dire, la colpa è in parte di Tolkien, il quale dà precise indicazioni ai suoi traduttori affinché certi (ben determinati) antroponimi e toponimi vengano tradotti. Fa parte della finzione ('Naturalmente, un manoscritto', avrebbe detto poi Eco introducendo Il nome della Rosa [si vedano anche le 'Postille']) per cui alcuni nomi propri originali in elfico, parlata comune e altre lingue antiche sono stati tradotti in inglese (Appendix F, II, On translation) dal traduttore dell'antico Red book of Westmarch 'Libro Rosso dei Confini Occidentali' (Prologo, p. 39-41). Quindi, diventando complici della finzione, i veri traduttori dovrebbero continuare a tradurre tali nomi. Le indicazioni di Tolkien, versato in buona parte delle lingue europee, sono raccolte in Guide to the Names and Places in The Lord of the Rings (citato anche come Notes on Nomenclature to assist translators). Il curatore e il traduttore dell'edizione italiana, pur non citandolo espressamente (ad esempio nella 'Nota del curatore', pp. 21-22), dovevano averlo, come vedremo, ben presente.

Tolkien era consapevole dell'importanza della nomenclature nell'opera di sub-creazione di un mondo secondario (ad esempio, si veda Letters, n. 297; n. 131, pp. 143-144; n. 165, p. 219: 'a name comes first and the story follows'). Infiniti furono i suoi sforzi nell'inventare nomi propri consoni all'ambiente e ai personaggi, tanto da sviluppare delle vere e proprie lingue artificiali in modo da fornirne un coerente retroterra etimologico. Il risultato è sorprendente, in quanto Tolkien riuscì a coniugare mirabilmente l'omogeneità linguistica con l'aspetto eufonico e fono-estetico (vedi Letters, n. 347, p. 428; n. 131, p. 143: 'interested in linguistic aesthetics').

Nomi tradotti come Grampasso e Granburrone non sono degni di Omero o di un'esposizione della creazione del mondo. Questo tenore di traduzione "fuori tono" è da imputare al curatore e al traduttore dell'edizione italiana. D'altronde, tradurre certi nomi dall'inglese, significa snaturare quel sub-mondo che, a detta dello stesso Tolkien, è strettamente connaturato e modellato sull'ambiente britannico (ancora Letters, n. 131, p. 144). Bene ha fatto quindi il nostro curatore a mantenere il cognome Baggins per Bilbo (Nota del curatore, pp. 21-22), contro la volontà dell'autore (Guide to the names, voce 'Baggins'); peccato che questa scelta non sia stata messa in opera coerentemente (ad esempio, la via di Bilbo che da Bagshot Row diventa via Saccoforino, p. 48, e l'assurdo 'Casa Baggins' per 'Bag End'). L'indice dei nomi propri, di cui i lettori italiani sono stati privati silenziosamente tanto da non sospettarne neppure la presenza nella versione originale inglese, sarebbe stato la sede giusta per tentare o spiegare traduzioni, adempiendo così alla volontà di Tolkien che aveva trasmesso ai lettori inglesi i significati dei nomi.

Pur non volendo trasformare le nebbiose e sterminate brughiere della Terra di Mezzo in un'Italia peninsulare e mediterranea, mi sono cimentato anch'io nella ricerca di un compromesso nelle traduzioni di alcuni nomi propri. Mi sono reso conto che non bisogna sforzarsi di tradurre in italiano la traduzione inglese, ma cercare di tradurre il termine elfico originario, ad esempio Imladris, così come Rivendell ne è la traduzione in inglese. Sono convinto che confronti funzionali con l'onomastica e toponomastica attestate in Italia (usando rispettivamente le basi di dati di <www.paginebianche.it> e <www.heavens-above.com>) possano portare a ottimi risultati.


* Certe affermazioni di Zolla sono discutibili anche senza ricorrere alle lettere di Tolkien. Ad esempio: 'I personaggi sono come Melkitsedek [Ebrei 7,3; vedi anche Genesi 14], senza padre né madre, anche se si occupano intensamente di genealogie; non sai di dove traggano sussistenza: sono fisionomie peraltro inconfondibili in mondi senza data' (Introduzione, p. 9). A parte il fatto che non mi sembra possibile disconoscere l'evidenza degli alberi genealogici posti in appendice, tutta l'opera è tessuta attorno alle premesse genealogiche dei protagonisti: il lato Took di Frodo o Aragorn che è figlio di re sono solo gli esempi più banali; altri (come i casi di Galadriel e Elrond) affondano le loro radici in generazioni che risalgono ai tempi del Silmarillion. Frodo è senza padre e madre perché orfano (ovvero i genitori di Frodo non servivano vivi da un punto di vista narrativo, al contrario del padre di Sam Gamgee), ma san Paolo non voleva certo dire che Melchisedek era orfano! L'interesse genealogico e cronologico è una peculiarità dell'opera tolkeniana che la distingue nettamente dalle fiabe in genere: dà un quadro coerente e STORICO ai personaggi, ricalcando in modo fittizio lo scopo della genealogia di Gesù all'inizio del vangelo di Matteo. Un personaggio davvero 'senza padre nè madre' è Gandalf, e solo in questo caso il paragone con Melkisedek appare sensato e stimolante.

Nomi di persona, gruppi e titoli
Nomi di luogo, fiumi e regioni
Espressioni e nomi di cose

Note a margine della traduzione italiana de Lo Hobbit


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Persiceto, 28/II/2004; varie rielaborazioni e aggiunte fino alla risistemazione del 13/I/2005.