Biffi e immigrazione

Discussione sulla nota pastorale 2000/2001 del card. Biffi


Le parole del card. Biffi

III. Le sfide del nostro tempo

dalla nota pastorale di Biffi Giacomo, La città di San Petronio nel terzo millennio, edizioni Dehoniane Bologna, settembre 2000

 

36. Le «difficili sfide del nostro tempo» sono già in atto, e la città di san Petronio deve commisurarsi con loro senza panico e senza superficialità: i generici allarmismi non servono; ma tanto meno servono le banalizzazioni ansiolitiche e le giulive minimizzazioni.

Riuscirà Bologna anche nel Terzo Millennio -e a che prezzo e con quali efficaci accorgimenti- a conservare la propria identità, a svilupparsi secondo la sua vocazione umana e cristiana, a irradiare ancora nel mondo la sua civiltà?

«Il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà ancora la fede sotto le Due Torri?» (cf. Luca 18,8): l'inquietante interrogativo, che Gesù ha lasciato senza risposta, ci aiuterà -così attualizzato- a proseguire nella riflessione con la necessaria serietà.

Le «sfide» che già ci sovrastano sono principalmente due: il crescente afflusso di genti che vengono a noi da paesi lontani e diversi; il diffondersi di una cultura non cristiana tra le popolazioni cristiane. Ne trattiamo distintamente nella forma più chiara e succinta possibile.

1. La questione dell'immigrazione

Una sorpresa

37. Dobbiamo riconoscere che il fenomeno di una massiccia immigrazione ci ha colti un po' tutti di sorpresa.

E' stato colto di sorpresa lo Stato, che dà tuttora l'impressione di smarrimento e pare non abbia ancora recuperata la capacità di gestire razionalmente la situazione, riconducendola entro le regole irrinunciabili e gli ambiti propri di un'ordinata convivenza civile.

E sono state colte di sorpresa anche le comunità cristiane, ammirevoli in molti casi nel prodigarsi ad alleviare disagi e pene, ma sprovviste finora di una visione non astratta, non settoriale, abbastanza concorde. Le generiche esaltazioni della solidarietà e del primato della carità evangelica -che in sè e in linea di principio sono legittime e anzi doverose- si dimostrano piuttosto bene intenzionate che utili quando non si confrontano davvero con la complessità del problema e la ruvidezza della realtà effettuale.

L'annuncio del Vangelo

38. Deve essere ben chiaro che non è di per sè compito della Chiesa come tale risolvere ogni problema sociale che la storia di volta in volta ci presenta. Le nostre comunità e i nostri fedeli non devono perciò nutrire complessi di colpa a causa delle emergenze imperiose che essi con loro forze non riescono ad affrontare. Sarebbe un implicito, ma comunque grave e intollerabile «integralismo» il credere che le aggregazioni ecclesiali possano essere responsabilizzate di tutto. Compito nostro inderogabile è invece l'annuncio del Vangelo e l'osservanza del comando dell'amore.

39. Prima di tutto l'annuncio del Vangelo. Dovere statuario della Chiesa Cattolica, e in essa di ogni battezzato, è di far conoscere a tutti esplicitamente Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio morto per noi e risorto, oggi vivo e Signore dell'universo, unico Salvatore dell'umanità intera.

Tale missione può essere efficacemente coadiuvata, ma non può essere in alcun modo surrogata da qualsivoglia attività assistenziale. Essa suppone la nostra attitudine al dialogo sincero, aperto, rispettoso con tutti, ma non può mai risolversi nel solo dialogo. Può essere favorita dalla nostra conoscenza oggettiva delle posizioni altrui, ma si avvera soltanto quando noi riusciamo a portare all'esplicita conoscenza di Cristo quei nostri fratelli, che sventuratamente ancora non ne sono beneficiati.

Non bisogna poi dimenticare che l'azione evangelizzatrice è di sua natura universale e non tollera deliberate esclusioni di destinatari: " predicate il Vangelo a ogni creatura" (cf. Mc 16,15 ), ci ha detto il Risorto. E non è mai giustificata una rassegnata rinuncia a questo proposito, nemmeno quando, umanamente parlando, sembri poco prevedibile il conseguimento di qualche risultato positivo: chi crede nella forza sovrumana dello Spirito Santo, non desiste mai dall'annunciare la strada della salvezza.

40. E' molto importante infine che tutti i cattolici si rendano conto di questa loro indeclinabile responsabilità, che essi hanno nei confronti di tutti i nuovi arrivati (musulmani).

Per essere però buoni evangelizzatori essi devono crescere sempre più nella gioiosa intelligenza degli immensi tesori di verità, di sapienza, di consolante speranza che hanno la fortuna di possedere: è un'effusione di luce divina, assolutamente inconfrontabile con i pur preziosi barlumi offerti dalle varie religioni e dall'Islam; e noi siamo chiamati a renderne partecipi appassionatamente e instancabilmente tutti i figli di Adamo.

41. Senza dubbio dovere nostro è anche l'esercizio della carità fraterna. Di fronte a un uomo in difficoltà - quale che sia la sua razza, la sua cultura, la sua religione, la legalità della sua presenza - i discepoli di Gesù hanno l'obbligo di amarlo operosamente e di aiutarlo a misura delle loro concrete possibilità. Di questa responsabilità noi siamo tenuti a rendere conto al Signore, ma solo a lui e a nessun altro.

Approccio realistico

42. Nel variegato panorama dell'immigrazione, le comunità cristiane non possono non valutare attentamente i singoli e i diversi gruppi, in modo da assumere poi realisticamente gli atteggiamenti più pertinenti e opportuni.

Agli immigrati cattolici -quale che sia la loro lingua e il colore della loro pelle- bisogna far sentire nella maniera più efficace che all'interno della Chiesa non ci sono «stranieri»: essi a pieno titolo entrano a far parte della nostra famiglia di credenti e vanno accolti con schietto spirito di fraternità. Quando sono presenti in numero rilevante e in aggregazioni omogenee consistenti, andranno sinceramente incoraggiati a conservare la loro tipica tradizione cattolica, che sarà oggetto di affettuosa attenzione da parte di tutti.

Ai cristiani delle antiche Chiese orientali, che non sono ancora nella piena comunione con la sede di Pietro, esprimeremo simpatia e rispetto. E, in conformità agli accordi generali e secondo l'opportunità, potremo favorirli anche dell'uso di qualche nostra chiesa per le celebrazioni.

Gli appartenenti alle religioni non cristiane vanno amati e, quanto è possibile aiutati nelle loro necessità. Non va però in nessun modo disatteso quanto è detto nella Nota CEI del 1993: «Le comunità cristiane, per evitare inutili fraintendimenti e confusioni pericolose, non devono mettere a disposizione, per incontri religiosi di fedi non cristiane, chiese, cappelle e locali riservati al culto cattolico, come pure ambienti destinati alle attività parrocchiali» (Ero forestiero e mi avete visitato 34).

Considerazione generale

43. Possiamo aggiungere un'annotazione, che riguarda da vicino soprattutto il comportamento auspicabile dello Stato e di tutte le autorità civili.

I criteri per ammettere gli immigrati non possono essere solamente economici e previdenziali (che pure hanno il loro peso). Occorre che ci si preoccupi seriamente di salvare l'identità propria della nazione. L'Italia non è una landa deserta o semidisabitata, senza storia, senza tradizioni vive e vitali, senza un'inconfondibile fisionomia culturale e spirituale, da popolare indiscriminatamente, come se non ci fosse un patrimonio tipico di umanesimo e di civiltà che non deve andare perduto.

In vista di una pacifica e fruttuosa convivenza, se non di una possibile e auspicabile integrazione, le condizioni di partenza dei nuovi arrivati non sono ugualmente propizie. E le autorità civili non dovrebbero trascurare questo dato della questione.

In ogni caso, occorre che chi intende risiedere stabilmente da noi sia facilitato e concretamente sollecitato a conoscere al meglio le tradizioni e l'identità della peculiare umanità della quale egli chiede di far parte.

44. Sotto questo profilo, il caso dei musulmani va trattato con una particolare attenzione. Essi hanno una forma di alimentazione diversa (e fin qui poco male), un diverso giorno festivo, un diritto di famiglia incompatibile col nostro, una concezione della donna lontanissima dalla nostra (fino ad ammettere e praticare la poligamia). Soprattutto hanno una visione rigorosamente integralista della vita pubblica, sicché la perfetta immedesimazione tra religione e politica fa parte della loro fede indubitabile e irrinunciabile, anche se di solito a proclamarla e farla valere aspettano prudentemente di essere diventati preponderanti.

Mentre spetta a noi evangelizzare, qui è lo Stato -ogni moderno Stato occidentale- a dover far bene i suoi conti.

Cattolicesimo «religione nazionale storica»

45. Da ultimo, sarà bene che nessuno ignori o dimentichi che il cattolicesimo -che non è più la «religione ufficiale dello Stato»- rimane nondimeno la «religione storica» della nazione italiana, oltre che la fonte precipua della sua identità e l'ispirazione determinante delle nostre più autentiche grandezze.

Perciò è del tutto incongruo assimilarlo alle altre forme religiose o culturali, alle quali dovrà sì essere assicurata piena libertà di esistere e di operare, senza però che questo comporti o provochi un livellamento innaturale o addirittura un annichilimento dei più alti valori della nostra civiltà.

Va anche detto che è una singolare concezione della democrazia il far coincidere il rispetto delle minoranze con il non rispetto delle maggioranza, così che si arriva di fatto all'eliminazione di ciò che è acquisito e tradizionale in una comunità umana. Si attua un'«intolleranza sostanziale», per esempio, quando nelle scuole si aboliscono i segni e gli usi cattolici, cari alla stragrande maggioranza, per la presenza di alcuni alunni di altre religioni.

2. Il diffondersi di una cultura non cristiana

46. Più dell'immigrazione, ci interpella e ci sollecita a una risposta il diffondersi tra le popolazioni di antica fede cristiana, come la nostra, di una «cultura non cristiana». Il fenomeno -è evidente- non riguarda solo Bologna: ha dimensioni continentali e addirittura planetari.

La cultura estranea al cristianesimo

47. C'è prima di tutto una cultura che, pur non essendo nativamente e programmaticamente ostile alla visione cristiana , prescinde da essa ed è ad essa estranea.

C'è, per esempio l'affermarsi di una razionalità scientifico-tecnologica, intesa a elaborare un pensiero funzionale e operativo, che implicitamente censura ogni approccio alla verità in se stessa.

C'è in campo economico-sociale l'emergenza di una «globalizzazione» la quale non può non preoccupare per le sue possibili conseguenze sul mondo del lavoro che di fronte agli anonimi potentati finanziari rischia di incorrere in un invincibile stato di alienazione.

C'è lo sviluppo sempre più sofisticato dei mezzi di comunicazione: esso porta con sè il predominio di una cultura visiva e intuitiva che è prigioniera della percezione e dell'attualità, a scapito della riflessione personale, della memoria storica e della capacità di progettare il futuro.

C'è la ricerca di una « libertà senza verità », che finisce col mortificare la dimensione etica della vita. In conseguenza di questa libertà incondizionata e vuota di valori, l'uomo è insidiato nella sua stessa dignità e perfino nella sua sopravvivenza: le fantasie genetiche, il crollo della natalità, il disprezzo della vita umana ( soprattutto con la vergognosa legalizzazione dell'aborto), la glorificazione delle devianze sessuali, la corrosione dell'istituto della famiglia e il permissivismo dilagante ne sono i segni più manifesti.

48. Si comprende agevolmente che in questa multiforme tendenza culturale, che per larga parte, appare incontrastabile, molti aspetti non sono accettabili; però non tutto è perverso e non tutto è irredimibile. Occorre dunque un'abitudine alla valutazione e al discernimento, che ci dica di volta in volta che cosa si possa accogliere, che cosa si debba apertamente contrastare e che cosa sia plausibile orientare cristianamente; valutazione e discernimento che dovranno obbedire non a criteri "politici" (come la determinazione a cercare accordi e consonanze a ogni costo), ma alla assoluta fedeltà nei confronti dell'immutabile verità rivelata e della nostra identità di credenti.

L'attacco esplicito al fatto cristiano

49. Oggi è in atto una delle più gravi e ampie aggressioni al cristianesimo (e quindi alla realtà di Cristo) che la storia ricordi. Tutta l'eredità del Vangelo viene progressivamente ripudiata dalle legislazioni, irrisa dai «signori dell'opinione», scalzata dalle coscienze specialmente giovanili.

Di tale ostilità, a volte violenta a volte subdola, non abbiamo ragione di stupirci nè di aver troppa paura, dal momento che il Signore e i suoi apostoli ce l'hanno ripetutamente preannunziata: «Non meravigliatevi se il mondo vi odia» (1Gv. 1,26).

Ci si può meravigliare invece degli uomini di Chiesa che non sanno o non vogliono prenderne atto: in realtà, la sola cosa, di cui può temere chi è ben deciso a operare nella fede, è l'insipienza dei "figli della luce" i quali talvolta non si accontentano di «rallegrarsi con chi è allegro e di piangere con chi piange» (cf. Rm 12,15), ma finiscono anche a smarrirsi con chi si smarrisce.

In conclusione

50. In un'intervista di una decina di anni fa mi è stato chiesto con invidiabile candore: «Ritiene anche Lei che l'Europa sarà cristiana o non sarà?». La risposta di allora può aiutarmi a chiarire il mio pensiero di oggi.

«Io penso - dicevo - che l'Europa o ridiventerà cristiana o diventerà musulmana. Ciò che mi pare senza avvenire è la "cultura del niente", della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale, che sembra essere l'atteggiamento dominante nei popoli europei, più o meno tutti ricchi di mezzi e poveri di verità.

Questa "cultura del niente " (sorretta dall'edonismo e dalla insaziabilità libertaria) non sarà in grado di reggere all'assalto ideologico dell'Islam che non mancherà: solo la riscoperta dell' "avvenimento cristiano" come unica salvezza per l'uomo - e quindi solo una decisa risurrezione dell'antica anima dell'Europa - potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto».

II. L'«anima» di Bologna

L'impegno di carità

32. La nostra Chiesa ha conosciuto nei secoli tutta una fioritura di opere al servizio dei fratelli e in soccorso delle varie necessità umane. Non è possibile elencare qui nemmeno sommariamente tutto il cumulo di iniziative, di enti, di confraternite, di associazioni che sono nate da questo ardore di carità. Basti pensare al sorgere dei vari ospedali, tra cui quello famoso «della vita». A combattere l'usura qui è stato istituito, ad opera del francescano Michele Carcano, il Monte di Pietà, uno dei primissimi in Italia e nel mondo.

Per il secolo scorso è sufficiente citare il nome di don Giuseppe Bedetti e dei fratelli Gualandi, nonché le molteplice iniziative sociali e caritative di Giovanni Battista Acquaderni.

Ed è uno slancio che non si è esaurito. Sono, per esempio, di questi ultimi decenni le Case della Carità, il Centro San Petronio, il Centro Cardinal Poma, e molte altre testimonianze di un'attenzione evangelica al «prossimo» sempre viva, tra le quali si segnala particolarmente per la sua lunga ininterrotta attività la «Mensa» dell'Antoniano.

Dalla conferenza stampa

Lo Stato faccia bene i conti
la Chiesa accoglie tutti

da Avvenire, 15/IX/2000 pag. 12

 

Bologna. (S.An.) Ma come sono andate effettivamente le cose nel corso della conferenza stampa per la presentazione della nuova nota pastorale? Il cardinale Giacomo Biffi, alla domanda se tra una comunità di marocchini islamici ed una di sudamericani cattolici lo Stato dovrebbe preferire la seconda ha risposto: «Queste domande le dovreste fare allo Stato. Se lo Stato è davvero laico, e vuole salvaguardare l benessere e la sopravvivenza del popolo italiano, della sua cultura e della sua identità deve fare bene i conti. Una volta ho avuto un colloquio interessantissimo e cordiale con un ministro in carica. A un certo punto io ho detto: se voi al governo, laicamente, voleste il vero bene d'Italia, e voleste risparmiare al popolo italiano tante sofferenze, dovreste gestire l'immigrazione in modo da privilegiare l'afflusso dei cattolici. E non mancano certo questi gruppi: pensiamo ai latino-americani, ai filippini e agli eritrei. In questo caso, ho proseguito, noi vescovi probabilmente prenderemmo posizione contro di voi e vi chiederemmo di aprirvi. Ma voi, ho concluso, da laici, se guardaste al vero bene d'Italia, dovreste infischiarvene delle nostre proteste. Si tratta di essere realistici: io voglio sapere come si potranno risolvere problemi gravi come la poligamia praticata dai musulmani. Non è un problema mio. Il mio problema è di evangelizzare. Sono problemi dello Stato. Cosa facciamo con il nostro diritto di famiglia? Oppure di fronte ad un problema ancora più radicale come quello dell'integralismo islamico? Per i musulmani politica e religione sono la stessa cosa e non lo nascondono. Non lo dicono quando sono in minoranza. Cosa faranno gli Stati laici? Sarà interessante vedere come gestiranno le emergenze. Io su questo versante non propongo ricette perché non tocca a me, a me -ripeto- spetta il compito di annunciare il Vangelo e praticare la carità. Mi meraviglio solo che lo Stato non abbia ancora preso in considerazione in modo organico questi gravi problemi».

Il servizio del TG1

Trascrizione completa del servizio del 30/IX/2000.

Il cardinale Biffi

BUSI [Il cardinale Biffi] oggi dice cosi: gli islamici sono estranei alla nostra umanità, il cattolicesimo rimane la religione storica dell’Italia, occorre preoccuparsi di salvaguardare l’identità nazionale. Critiche e proteste.

[inizia il servizio]

ZAVATTARO Gli islamici?

BIFFI ...vengono a noi ben decisi a rimanere sostanzialmente diversi, in attesa di farci diventare tutti sostanzialmente come loro.

Z. Parola del cardinale Biffi che, non nuovo a far parlare di sé, torna sulla questione Islam e immigrazione. Dice: gli islamici vengono per restare estranei alla nostra umanità...

B. ...individuale e associata, in ciò che ha di più essenziale, di più prezioso, di più laicamente irrinunciabile.

Il pubblico

Z. Di più hanno un diverso giorno festivo, un diritto di famiglia incompatibile con il nostro, una concezione della donna lontanissima dalla nostra, la poligamia.

B. Io non ho nessuna paura dell’Islàm.

Z. Sono gli stati moderni a doversi preoccupare, lui dice di avere altre paure.

B. Le mie paure per l’avvenire d’Italia sono altre: ho paura della straordinaria imprevidenza che dimostrano i responsabili della nostra vita pubblica; [stacco] ho paura dell’insipienza di troppi cattolici, soprattutto tra i più acculturati e loquaci.

HAMZA PICCARDO (Segr. Naz. unione comunità islamiche in Italia) Davvero questo rinfocolarsi della polemica che ha per protagonista il cardinale Biffi mi stupisce molto. Il cardinale dimentica alcune cose: il primo, che l’italia è uno stato laico; il secondo, la storia dell’Italia che è fatta non soltanto da cattolici ma anche da ebrei, da protestanti e oggi da musulmani, e il fatto che la nostra comunità ha pieno diritto e pieno titolo di vivere in questo paese e di esprimersi al meglio in un rapporto di convivenza e di reciproco rispetto con tutte le altre comunità.

Hmaza PiccardoQuesto suo insistere sulla nostra difficile omogenizzazione, omologazione con la società italiana credo che dimostri più che altro un segno di grande difficoltà da parte di certi settori della chiesa.

VINICIO ALABANESI (Comunità di Capodarco) Credo che il cardinal Biffi esprima delle preoccupazioni di tutti, però noi abbiamo una regola evangelica che ci dice di accogliere prima che di discriminare. La chiesa ha avuto molte sfide, nel 1000 e oggi ha una sfida delle giovani popolazioni. Forse possiamo ricorrere a quella parola evangelica di Gesù che dice "coraggio, non abbiate paura!".


Punti di vista

La Repubblica ed Il Resto del Carlino

vedi il confronto sinottico.

Avvenire, 14/IX/2000

Immigrazione, sfida da governare

IL CASO L'arcivescovo di Bologna esorta a considerare i criteri di compatibilità culturale. E a superare quelli meramente economici
Biffi: per favorire l'integrazione in Italia lo Stato dovrebbe preferire i cattolici
Stato e società impreparati Necessario salvaguardare le radici dell'identità nazionale
di Stefano Andrini

pagina originale (www.avvenire.it)

 

BOLOGNA."Qualche tempo fa, parlando con un ministro in carica, una persona intelligente, gli ho fatto notare che uno Stato davvero laico, che volesse risparmiare al popolo italiano tante sofferenze, avrebbe convenienza a gestire l'immigrazione in modo da privilegiare i cattolici (latino-americani, filippini, eritrei). In questo caso, ho aggiunto, i vescovi prenderebbero posizione contro il governo chiedendo una maggior apertura. Ma voi, laicamente, dovreste ignorare le nostre proteste e guardare al vero bene d'Italia". Ricorre al paradosso, il cardinale Giacomo Biffi, per spiegare ai giornalisti perché, nella sua nota pastorale "La città di san Petronio nel terzo millennio" ha indicato la questione dell'immigrazione come una delle "difficili sfide del nostro tempo". E aggiunge: "Non esiste il diritto di invasione. Nulla vieta allo Stato italiano di gestire l'immigrazione in modo che sia salvaguardata la sua identità nazionale". A proposito del fenomeno immigrazione Biffi riconosce che la sua espansione massiccia ha colto tutti di sorpresa. Lo Stato, in primo luogo, " che dà tuttora l'impressione di smarrimento e pare non abbia ancora recuperata la capacità di gestire razionalmente la situazione". Ma anche le comunità cristiane "ammirevoli in molti casi nel prodigarsi ad alleviare disagi e pene, ma sprovviste finora di una visione non astratta, non settoriale, abbastanza concorde". Il cardinale traccia poi i limiti e i compiti dei cristiani nel rapporto con le emergenze sociali. "Deve essere ben chiaro che non è di per sé compito della Chiesa come tale risolvere ogni problema sociale. Compito nostro inderogabile è invece l'annuncio del Vangelo e l'esercizio della carità fraterna". Per quanto riguarda la missione di annunciare il Vangelo, che vale anche nei confronti degli islamici, può essere, annota Biffi "efficacemente coadiuvata, ma non può essere in alcun modo surrogata da qualsivoglia attività assistenziale. Essa suppone la nostra attitudine al dialogo sincero, ma non può mai risolversi nel solo dialogo". Il cardinale aggiunge una postilla per le autorità civili. "I criteri per ammettere gli immigrati non possono essere solamente economici e previdenziali. Occorre che ci si preoccupi seriamente di salvare l'identità propria della nazione. L'Italia non è una landa deserta o semidisabitata, senza storia, senza una inconfondibile fisionomia culturale e spirituale, da popolare indiscriminatamente. In ogni caso, occorre che chi intende risiedere stabilmente da noi sia facilitato e concretamente sollecitato a conoscere al meglio le tradizioni e l'identità della peculiare umanità della quale egli chiede di far parte". In questa prospettiva Biffi invita lo Stato a far bene i suo conti di fronte al caso dei musulmani. "Essi hanno una forma di alimentazione diversa (e fin qui poco male), un diverso giorno festivo, un diritto di famiglia incompatibile col nostro, una concezione della donna lontanissima dalla nostra (fino ad ammettere e praticare la poligamia). Soprattutto hanno una visione rigorosamente integralista della vita pubblica, sicché la perfetta immedesimazione tra religione e politica fa parte della loro fede indubitabile e irrinunciabile, anche se di solito a proclamarla e farla valere aspettano prudentemente di essere diventati preponderanti". La seconda sfida, richiamata dalla nota, è il diffondersi di una cultura non cristiana. "C'è la ricerca di una "libertà senza verità", che finisce col mortificare la dimensione etica della vita. In conseguenza di questa libertà incondizionata e vuota di valori, l'uomo è insidiato nella sua stessa dignità e perfino nella sua sopravvivenza: "le fantasie genetiche, il crollo della natalità, il disprezzo della vita umana (soprattutto con la vergognosa legalizzazione dell'aborto), la glorificazione delle devianze sessuali, la corrosione dell'istituto della famiglia e il permissivismo dilagante ne sono i segni più manifesti". Richiesto di un commento sull'approvazione in Olanda del matrimonio gay Biffi ha risposto: "Su questi temi ho già detto il mio parere e per questo sono stato denunciato per vilipendio del Parlamento europeo. Non è una questione di fede ma di ragione. La Chiesa cattolica non può permettersi di sragionare, un lusso che invece i Parlamenti possono concedersi". A conclusione del documento l'arcivescovo di Bologna richiama una sua intervista rilasciata una decina d'anni. "Ritiene anche lei che l'Europa sarà cristiana o non sarà?". Mi fu chiesto. "Io credo - dicevo - che l'Europa o ridiventerà cristiana o diventerà musulmana. Ciò che mi pare senza avvenire è la 'cultura del niente', della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale, che sembra essere l'atteggiamento dominante nei popoli europei, più o meno tutti ricchi di mezzi e poveri di verità. "Questa 'cultura del niente' (sorretta dall'edonismo e dalla insaziabilità libertaria) non sarà in grado di reggere all'assalto ideologico dell'Islam che non mancherà: solo la riscoperta dell' 'avvenimento cristiano' come unica salvezza per l'uomo - e quindi solo una decisa risurrezione dell'antica anima dell'Europa - potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto".

La Repubblica Bologna, 15/IX/2000

"Rischio d’integralismo"

"Ma non fraintendete le parole di Biffi"
Viaggio tra i volontari dopo la proposta del cardinale di privilegiare gli immigrati cattolici
di Giovanni Egidio

pagina originale

 

PIU’ che una questione di spirito, è un problema di carne. Se vuoi servirla a tavola, devi ricordarti di evitare il maiale, oppure saper offrire anche un menu alternativo. Per dire: con pasta asciutta al sugo di pomodoro, pollo e verdure, li fai contenti tutti, musulmani compresi. A sentire obiettori, volontari, operatori e responsabili delle varie comunità cattoliche sparse in città, altre difficoltà non ce ne sarebbero, nell’ospitare i figli dell’Islam. E allora è tutto un cercare di capire "Cosa avrà voluto dire Biffi", sostenendo che in Italia sarebbe meglio accogliere solo extracomunitari cattolici.

Brodo o pasta asciutta?

E se avesse voluto dire quello che ha detto? "Non credo, o almeno non penso, insomma spero che non sia così….cerchi di capire, non so nemmeno io cosa rispondere". L’imbarazzo di Antonio Ciscato, presidente della cooperativa che governa le tantissime attività di solidarietà a Villa Pallavicini, è palpabile. Preferisce rimboccarsi le maniche, da cattolico, piuttosto che sfornare teorie. E allora, davanti a quelle parole del suo cardinale, si allarga in un silenzio che non finisce più. "Sì, sì, ho letto…..non so…..Sarà una provocazione, o forse un discorso politico. Biffi non parla mica a caso, sa? Si vede che voleva sollevare un tema". Certo: il tema dell’identità nazionale da difendere, per salvaguardare la religione di maggioranza, cioè quella cattolica. Lei lo sente come un problema? "Se sento minacciata la mia fede, dice? Quello no di sicuro, magari gente che ha convinzioni più fragili, potrebbe. Stia a sentire: a noi i musulmani non danno alcun fastidio, si tratta solo di organizzare un altro menù. I guai nascono con gli ubriachi e i violenti, ma quelli non hanno razza, francamente".

Biffi e MongiovìChe i dirigenti ci vadano piano, nel commentare le pietre scagliate da Biffi all’indirizzo dei musulmani, è anche comprensibile. Reazioni più nette, e sconfortate, semmai arrivano dalla base. Da quelli come Stefano Ugolini, ad esempio, che da anni lavora all’Opera Padre Marella, prima come obiettore, poi come volontario e ora come operatore. "Siamo un pensionato sociale, metà italiani e metà extracomunitari. Ai musulmani non servi il maiale, ovviamente. E gli dai anche la possibilità di rispettare il ramadan, quando il loro pasto dev’essere posticipato. Il problema con loro è quello lì, e basta. Le parole di Biffi? Non le ho capite, non capisco questa paura del cardinale: temiamo i musulmani per il loro integralismo, poi diventiamo integralisti anche noi?". Lui non ha capito le parole di Biffi, ma secondo Padre Berardo dell’Antoniano a non averle capite sono stati i giornalisti. "Chi ha letto l’intera nota pastorale, sa che il Cardinale non ha detto così. Ha affrontato un tema di ampio respiro, sulla necessità della reciproca convivenza delle diverse religioni. Troppo facile decontestualizzare". In ogni caso, all’Antoniano non si fanno differenze. Padre Gabriele, responsabile della mensa, rivendica lo spirito francescano che anima i padri. "Diamo ai bisognosi, nel rispetto delle loro culture. E quando c’è il ramadan, consegniamo sacchetti contenenti il pasto. A noi i musulmani non danno alcun fastidio, ma questo non c’entra con le considerazioni politiche sull’afflusso degli extracomunitari, a cui probabilmente si riferiva Biffi". Si tratta d’interpretare, insomma, o forse di essere obbligati a farlo per non leggere in quei concetti del cardinale pensieri troppo crudi da digerire. Per questo Fulvio Mariano del centro San Petronio di via Santa Caterina, spalanca gli occhi, prende tempo e non si sbilancia. Lui del resto davvero vive in trincea, sfamando il mondo più disastrato di passaggio da Bologna, 365 giorni all’anno. "Sono figlio di profughi e sono anche diacono. Figuriamoci se ho qualche tipo di riserva nei confronti dei musulmani. Conosco Biffi, credo abbia voluto stimolare un approfondimento del problema da parte di tutti, perché la paura nasce solo dove non c’è conoscenza". E da cosa si sarebbe potuto evincere che il cardinale voleva stimolare un approfondimento? "Diciamo che soprattutto è una mia speranza, perché se dovessi recepire alla lettera le parole di Biffi riportate dai media, non potrei più lavorare in questo posto, dove sfamiamo e puliamo tutti quelli che ne hanno la necessità, senza distinzioni. Quanto alla difesa dell’identità nazionale, vorrà dire che cercheremo di convertire i musulmani, se davvero sarà necessario…".
Sotto l’ufficio di Mariano, ci sono i problemi pratici. Gli affamati premono per arrivare al piatto caldo, non mancano due o tre ubriachi già piuttosto molesti. Cuoca, obiettori e volontari dirigono il traffico di piatti, tra immaginabili difficoltà. Alessandro, obiettore cattolico di Como, ha pochissimo tempo da perdere. "Ho letto le parole di Biffi, sì, ma non posso essere d’accordo. Sono solo d’accordo sul fatto che arrivino quei 63mila immigrati previsti dal Governo, e che non ce ne sia uno di più. Musulmani o cattolici non conta nulla, conta solo essere in grado di aiutarli sul serio, se no ci facciamo una brutta figura". Si affaccia un tipo con una scatola di fagioli, chieda che gliela aprano, poi chiede di mangiare qualcosa anche se è sprovvisto del necessario buono. E Lorenzo non sfigura affatto.

 

[N.d.R.: Fulvio non è molto soddisfatto del lavoro svolto dal redattore dell'articolo... speriamo di poter ospitare su queste pagine la sua replica!]

"La Lega esulta, io no"

Il disagio di Tommaso, obiettore e papaboy
la testimonianza

pagina originale (La Repubblica Bologna)

 

CENTRO di ascolto per extracomunitari della Caritas, via Rialto. Da circa 8 mesi, ad ascoltare tutti gli stranieri di passaggio, c’è Giacomo (e al suo fianco Tommaso): obiettore, cattolico praticante, uno dei tanti Papaboys ("Due giorni a Tor Vergata: magnifici), laureatosi con una tesi dal titolo "l’etnopsichiatria", in nome di una passione per le altre culture che l’ha portato a scegliere di finire qui, anziché in una caserma. All’una, non aveva ancora letto Biffi. Alle due e mezza, sì. A caldo, che effetto fa? «Fa un certo effetto, soprattutto per chi come me ha voglia di conoscere il mondo musulmano e possibilmente di capirlo. Viene da chiedersi perché ci sia questa paura di perdere la nostra identità religiosa, davanti a un popolo che effettivamente ha convincimenti ben più profondi e osservanti, seppure diversi. Forse il problema siamo noi, non loro. Cioè la nostra scarsa fede. Penso che quelle di Biffi siano parole anche pericolose, ma forse si tratta solo di una boutade che passa e va, senza lasciare traccia. Diciamo una provocazione. Almeno spero. Io comunque voglio stare nel mio ruolo, sono un semplice fedele, e conosco anche l’obbligo dell’obbedienza. Ma davanti a certi concetti, mi sento a disagio. Poi vedo che la Lega esulta, e il disagio aumenta. Ho sempre pensato che davanti alle altre culture bisognasse mettersi a rischio, accettare la diversità. Facendolo, qui al centro d’ascolto, mi sono capitate situazioni perfino tragicomiche. Per esempio donne musulmane a servizio da anziani, che si sono rifiutate di sparecchiare bottiglie di vino, non potendolo nemmeno toccare. Sono distanze, lo capisco, ma bisogna sforzarsi di colmarle. Per molti buoni motivi, compreso il fatto che di italiani disposti a fare i lavori che fanno loro, se ne trovano sempre meno». Che fare, lui non lo sa. Sa bene, invece, cosa non andrebbe fatto. «Rifugiarsi nella paura di volere chiudere le frontiere, ad esempio, in nome di una identità nazionale da salvare. E anche religiosa, certo».
(g.e.)


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san Giovanni in Persiceto, 14.30/IX/2000