CineTolkien

La Terra di Mezzo e le sue versioni in altre lingue e media
a cura di Gian Pietro Basello

ATTENZIONE: la versione preliminare del saggio 'Su alcune traduzioni di nomi propri nell'edizione italiana de Il signore degli anelli', nato come parte di questa pagina, è stata spostata all'indirizzo <www.elamit.net/varie/tolkien_nomenclature.htm>.


Vedi anche My Tolkien, rassegna bibliografica e catalogo della mia biblioteca tolkeniana.

La sezione tolkeniana della mia biblioteca napoletana (aggiornata al 5/8/2004).

Due lettere

Massimo Papotti mi ha chiesto il testo di queste due lettere di Tolkien. Non avendo l'edizione italiana a portata di mano, le ho tradotte direttamente dall'inglese. Mi scuso per lo stile della traduzione che riflette troppo la fretta con cui è stata fatta.

Da una lettera al figlio Michael [Letters, n. 250]

Oxford 1963, Novembre 1

La dedizione all'‘insegnamento’, in se stesso e senza riferimento alla propria fama, è una vocazione elevata e in un certo senso spirituale; e dal momento che è ‘elevata’, essa è inevitabilmente diminuita dai fratelli falsi, da quelli stanchi, dal desiderio di soldi (o anche dal legittimo bisogno di soldi) e dall’orgoglio: la gente che dice ‘la mia materia’ e non intende quella di cui io sono umilmente innamorato ma la materia che egli ritiene di ‘abbellire’ o che ‘ha fatto sua’. Di certo questa dedizione è generalmente degradata e disonorata proprio nelle università. Ma sta ancora lì. E se tu facessi chiudere per disgusto le università, questa dedizione scomparirebbe dal paese – finché non fossero ristabilite, per poi ricadere nella corruzione al tempo dovuto. La ben più elevata dedizione alla religione non può sfuggire allo stesso processo. Essa è, certamente, degradata fino ad un certo punto da tutti i ‘professionisti’ (e da tutti coloro che si professano Cristiani), e da alcuni di essi fu addirittura oltraggiata in determinati tempi e luoghi; e dal momento che il fine è più elevato, le manchevolezze sembrano (e sono) ben peggiori. Ma non si può mantenere una tradizione di insegnamento o di autentica scienza senza scuole e università, e questo significa insegnanti e professoroni. E non si può mantenere una religione senza chiesa e ministri; e ciò significa professionisti: sacerdoti e vescovi – e anche monaci. Il vino prelibato deve (in questo mondo) essere contenuto in una bottiglia (ragnatele e polvere, un’etichetta macchiata, tanto da apparire indecente, non sono sempre segni di contenuto deteriorato, per coloro che sanno cavare tappi stagionati), o qualche meno degno sostituto. Per quel che mi riguarda, ricordando i miei peccati e le mie follie, ho scoperto di diventare piuttosto meno cinico; e tenendo presente che i cuori degli uomini spesso non sono così cattivi come le loro opere, e molto raramente cattivi quanto le loro parole. (Specialmente nel nostro tempo, che è un tempo di sarcasmo e cinismo. Noi siamo più liberi dall’ipocrisia, dal momento che oggi non ci si preoccupa di professare santità o proclamare sentimenti elevati; ma è un tempo di ipocrisia inversa come il largamente diffuso snobismo rovesciato: gli uomini professano di essere peggiori di quel che sono) ....

Tu parli di ‘fede vacillante’, comunque. Questo è un altro affare. In ultima analisi, la fede è un atto di volontà, ispirato dall’amore. Il nostro amore può essere raffreddato e la nostra volontà erosa dalla visione delle manchevolezze, della follia, e anche dei peccati della Chiesa e dei suoi ministri, ma io non credo che colui che un tempo aveva fede sia receduto per queste ragioni (tantomeno qualcuno con un minimo di conoscenze storiche). Lo ‘scandalo’ è tutt’al più occasione di tentazione – come l’indecenza lo è alla lussuria, indecenza che non provoca quest’ultima ma da essa nasce. Lo scandalo fa comodo perché tende a distogliere i nostri occhi da noi stessi e dalle nostre colpe per trovare un capro espiatorio. Ma l’atto di volontà della fede non è un momento isolato di decisione definitiva: è un atto stato permanente indefinitamente ripetuto che deve continuare – per questo noi preghiamo per la ‘perseveranza finale’. La tentazione allo ‘scetticismo’ (che significa effettivamente il rigetto di Nostro Signore e delle sue prerogative) è sempre qui dentro di noi. Una parte di noi anela a trovare una scusa per essa al di fuori di noi. Più forte è la tentazione interna, più prontamente e severamente saremo ‘scandalizzati’ dagli altri. Io penso di essere sensibile quanto te (o qualsiasi altro Cristiano) agli ‘scandali’, sia del clero che dei laici. Ho sofferto angosciosamente nella mia vita da sacerdoti stupidi, stanchi, offuscati e anche cattivi; ma ora conosco abbastanza di me stesso da essere conscio che non lascerò la Chiesa (che per me significherebbe lasciare la fedeltà al mio Signore) per qualsiasi di queste ragioni: lascerò perché non ho creduto, e non crederò più, anche se non avessi mai incontrato alcuno che non fosse né saggio né santo. Io rinnegherei il Santissimo Sacramento, ovvero: chiamerei Nostro Signore una frode al Suo cospetto.

Se Egli è una frode e i Vangeli sono fraudolenti – ovvero resoconti alterati di un megalomane demente (questa è l’unica alternativa), allora di certo lo spettacolo esibito dalla Chiesa (nel senso del clero) nella storia e oggi è semplicemente la testimonianza di una frode gigantesca. In caso contrario, comunque, allora questo spettacolo è, ahimè, solo ciò che dovevamo aspettarci: cominciato prima della prima Pasqua, e non intacca per nulla la fede – eccetto per il fatto che noi possiamo e dovremmo esserne profondamente addolorati. Ma noi dobbiamo addolorarci in nome di Nostro Signore e per Lui, associando noi stessi a coloro che scandalizzano e non ai santi, senza proclamare che noi non possiamo assumere l’atteggiamento di Giuda Iscariota, o quello assurdo e codardo di Simon Pietro, o sciocco delle donne come la madre di Giacomo che cercava di raccomandare i propri figli.

Ci vuole una volontà davvero fantastica verso lo scetticismo per supporre che Gesù non sia mai realmente ‘accaduto’, e ancora di più per supporre che egli non disse quanto a lui attribuito – così impossibile da essere ‘inventato’ da qualcuno nel mondo in qualsiasi tempo: come ‘prima che Abramo fosse, io sono’ (Giovanni 8) . ‘Colui che ha visto me, ha visto il Padre’ (Giovanni 9); o la definizione del Santissimo Sacramento in Giovanni 5: ‘Colui che mangia la mia carne e beve il mio sangue avrà la vita eterna’. Noi dobbiamo quindi o credere in Lui e in ciò che disse assumendone le relative conseguenze; o rigettarlo assumendone le relative conseguenze. Trovo difficile, per quel che mi riguarda, che chiunque abbia mai fatto la Comunione, anche solo una volta con retta intenzione, possa mai rigettarlo senza grave colpa. (Comunque, Egli solo conosce l’unicità di ogni anima e le relative circostanze.)

L’unica cura per il vacillare di una fede che viene meno è la Comunione. Sebbene sempre uguale a se stesso, perfetto e completo e inviolato, il Santissimo Sacramento non opera completamente e una volta per tutte in ciascuno di noi. Come l’atto della Fede, esso deve essere continuo e svilupparsi attraverso l’esercizio. La frequenza porta all’effetto più elevato. Sette volte alla settimana è più nutriente che sette volte ad intervalli. Posso inoltre raccomandarti questo come esercizio (ahimè, fin troppo facile trovarne l’opportunità di metterlo in pratica): fare la comunione in circostanze che ti disgustano. Scegli un prete biascicante e farfugliante, o un orgoglioso e volgare frate; e una chiesa piena dell’usuale folla borghese, bambini maleducati – da quelli che strillano a quei prodotti delle scuole cattoliche che nel momento in cui il tabernacolo è aperto, siedono comodamente e sbadigliano – gioventù scollacciata e sporca, donne in pantaloni e spesso con capelli sia maltenuti che scoperti. Vai alla Comunione con loro (e prega per loro). Sarà per lo meno lo stesso (o meglio) di una messa celebrata sontuosamente da un uomo visibilmente santo, e condivisa con pochi devoti e gente decorosa. (Non può essere peggiore che il pasto con cui furono nutriti i Cinquemila – dopo il quale il Signore preannunciò il nutrimento che doveva venire.)

Io stesso sono convinto delle prerogative petrine, né guardandosi attorno nel monto sembra esserci qualche dubbio che (se la Cristianità è vera) sia la Vera Chiesa, il tempio dello Spirito morente ma vivente, corrotto ma santo, che si riforma e risorge. Ma per me quella Chiesa di cui il papa è la guida riconosciuta sulla Terra ha la principale prerogativa che è la sola che ha sempre difeso (e ancora difende) il Santissimo Sacramento, e ad Esso ha attribuito il massimo onore, e collocato (come Cristo ha chiaramente fatto intendere) al primo posto. ‘Nutri le mie pecore’ fu la sua ultima incombenza affidata a san Pietro; e dal momento che queste Sue parole vanno intese letteralmente, io credo si riferisse primariamente al Pane di Vita. E’ contro questo che fu lanciata effettivamente la rivolta dell’Europa occidentale (o Riforma) – ‘la favola blasfema della Messa’ – e fede/opere una mera fregatura [lett. ‘aringa affumicata’]. Io credo che la più grande riforma del nostro tempo sia quella portata a compimento da san Pio X [riguardante la comunione quotidiana e la comunione dei fanciulli]: sorpassa qualsiasi altra meta, quantunque necessaria, che il Concilio [Vaticano II] raggiungerà. Io mi domando in che stato sarebbe la chiesa senza di essa.

 

Che allarmante e disconnessa disquisizione da mettere per iscritto! Non voleva essere un sermone! Non ho dubbi che tu sai già queste cose e anche più. Sono un uomo ignorante, ma anche un uomo solo. E prendo ogni occasione per una chiacchierata, che sono sicuro non dovrei mai intraprendere a voce. Ma, di certo, vivo in ansietà riguardo ai miei figli: che in questo mondo più duro e crudele e che raggira più di quello in cui sono sopravvissuto io, debbano soffrire più assalti di quelli che ho avuto. Ma io sono uno di quelli che uscì dall’Egitto, e prego Dio che nessuno del mio seme debba ritornarci. Io ho assistito (comprendendo a metà) le sofferenze eroiche e la morte prematura in estrema povertà di mia madre, che mi condusse alla Chiesa, e ricevetti la sconvolgente carità di Francis Morgan. Ma mi innamorai del Santissimo Sacramento fin dal principio – e per grazia di Dio non ne sono mai ricaduto al di fuori: ma, ahimè, davvero non vivo alla Sua altezza. Ti ci condussi completamente malato e te ne parlai troppo poco. Fuori combattimento per cattiveria e indolenza, quasi smisi di praticare la mia religione – specialmente a Leeds, e al 22 di Northmoor Road. Non fu per me il Terrore del Cielo, ma l’incessante appello silenzioso del Tabernacolo, e il senso di languire affamato. Mi dolgo amaramente di quei giorni (e soffro per essi con tutta la sopportazione di cui sono dotato); più di tutto perché fallii come padre. Ora io prego per te tutto, incessantemente, che il Salvatore possa guarire i miei difetti, e che nessuno di voi possa mai cessare di gridare Benedetto colui che viene nel nome del Signore [dalla liturgia di comunione preconciliare].

JRR Tolkien

Da una lettera a Deborah Webster [Letters, n. 213]

1958, Ottobre 25

...

Ancora più importante, sono un Cristiano (cosa che si può dedurre dai miei racconti), e precisamente un Cattolico Romano. Quest’ultimo ‘fatto’ forse non può essere dedotto; sebbene un critico (per lettera) ha asserito che le invocazioni a Elbereth, e il carattere di Galadriel in base alla sue descrizioni o attraverso le parole di Gimli e Sam, siano direttamente connessi con la devozione cattolica a Maria. Un altro ha riconosciuto nel pane da viaggio [it. ‘pan di via’] (lembas) = viaticum e i riferimenti al suo nutrire la volontà e al suo essere più potente quando si digiuna, una derivazione dall’Eucarestia. (Ovvero, in due parole: realtà ben più grandi possono influenzare la mente anche quando ha a che fare con cose di minor importanza.)

JRR Tolkien

Tolkien: fantastico! (ma non Fantasy)

Prendo L'enciclopedia di Repubblica alla voce 'Fantasy':

Genere letterario caratterizzato dalla presenza di elementi sovrannaturali all'interno della narrazione, che in genere sono tratti dal folklore. Il canone di questo genere pare consistere nell'accettare il magico e l'irrazionale senza proporne quella spiegazione che è invece caratteristica della fantascienza. [...] l'attuale Fantasy si collega alla tradizione del romanzo gotico e vi abbondano, soprattutto nella produzione della prima metà del '900, le presenze abnormi e mostruose [...].

La prima cosa in evidenza è che Tolkien non è né il prototipo né il progenitore di tale genere, come io stesso credevo si ritenesse comunemente. Inoltre la definizione è sicuramente riduttiva nel caso di Tolkien, dove mi sembra che una delle sue caratteristiche fondamentali e irrinunciabili sia la creazione di un mondo fantastico sì, ma soprattutto strutturato, descritto e razionalizzato maniacalmente fin nei più minuti dettagli. In questo mondo compare invero la magia, e come tale non viene spiegata, ma la sua esistenza viene giustificata da un retroterra mitopoietico coerente e il suo uso viene confinato ad un ambito ben specifico, mentre il ruolo decisivo viene costantemente assegnato alla forza di volontà dei personaggi che, siano essi nella finzione elfi* o hobbit, è tipicamente umana. A mio avviso la magia di Gandalf non è più magica di quanto possa esser considerata tale la provvidenza o la forza dello Spirito Santo in un contesto cristiano.

* E' bene ricordare a chi non ha avuto la fortuna di leggere il libro che gli elfi non sono esseri sovrannaturali ma un espediente per concretizzare nella finzione la parte più spirituale e quel seme di immortalità che ogni uomo nasconde in sé. Lo stesso Tolkien (ad es. vedi lettera all'editore Milton Waldman, 1951) dice che si tratta di un nome di comodo che non ha nulla a che vedere con qualsivoglia significato preesistentemente assegnato ad esso. In Italia questo effetto è stato sicuramente amplificato dalla traduzione in stile favolistico de Il Signore degli Anelli (ad es. 'orchetti' al posto di 'orchi') oltre alla mancanza di un contatto diretto con le saghe nordiche da cui Tolkien trasse questi nomi. Ad es. si veda la definizione di elfi nella suddetta enciclopedia: Esseri della mitologia nordica, a metà strada tra uomini e dei, che vivono in gruppi sulla terra, nell'aria e nell'acqua [...]. Amanti della musica, danzano in valli solitarie e radure di boschi nelle chiare notti estive.

Per quel che riguarda la seconda parte della definizione riportata, appare subito evidente come non abbia assolutamente niente a che vedere con Tolkien. L'enciclopedia infatti deve precisare più avanti:

Non necessariamente, tuttavia, la Fantasy si identifica con il filone horror: un altro importante sottofilone è quello «eroico», postosi in evidenza con i romanzi di J. R. R. Tolkien e ispirato al mondo della saga antico-nordica e all'epica cavalleresca; il filone è di solito ambientato in contesti medievali, ma appartenenti a un medioevo immaginario, sottratto alla nostra concezione del tempo e al nostro senso della storia.

Una tale precisazione potrebbe andare bene forse un po' per la Terra di Mezzo (Middle Earth ~ Middle Ages ??) de Il Signore degli Anelli. Se però prendiamo in considerazione anche Il Silmarillion o la creazione degli Ainur, o i singoli trattati dedicati a figure o aspetti della Terra di Mezzo, per non dire del mito atlantideo della caduta di Numenor e l'attenzione linguistica, la definizione appare chiaramente non solo riduttiva ma precisamente errata. Voglio dire: nella creazione degli Ainur non c'è nulla di cavalleresco e nulla di medioevale; c'è forse qualcosa di epico (e di mitico, per non dire di biblico).

Dalla suddetta enciclopedia traggo una definizione di epica:

Il concetto che in seguito i greci si fecero di questo genere letterario ne stabilì durevolmente le caratteristiche, almeno per il mondo occidentale; [...] l'elemento «epico» continua ad essere ravvisato in quei componimenti narrativi, di regola ampi e in versi, i quali cantano eventi memorabili che ruotano intorno ad un'unica azione, a cui partecipano uno o più eroi. L'aggettivo «memorabile» esprime la condizione che il tema sia tale da offrire interesse diretto o indiretto a una collettività; l'evento, storico o no, può a volta a volta scaturire dal mito eroico o religioso; l'unità d'azione è, in genere, requisito indispensabile. In ogni Epica la narrazione è, per così dire, nobilitata dal canto con la conseguenza che, ove alla base sia un fatto storico, esso risulta trasfigurato (il che esclude la confusione tra Epica e storiografia).

Qui ritrovo molte somiglianze con l'opera di Tolkien. Innanzitutto si fa riferimento all'ampiezza e all'unità di azione, facilmente riscontrabili non solo ne Il Signore degli Anelli ma in tutta l'opera tolkeniana dedicata alla Terra di Mezzo. Poi la presenza di più figure eroiche, e non di un unico o pochi protagonisti, figure le quali concorrono insieme, ciascuna per la propria parte, al risultato finale; e anche questa mi sembra essere una caratteristica rilevante e per niente secondaria. Quindi la narrazione di eventi memorabili nei confronti della collettività che li recepisce, sicuramente vero nelle intenzioni (Tolkien dice esplicitamente di voler dare alla sua patria 'storie' e 'leggende' paragonabili a quelle degli altri popoli europei [Letters, n. 131, p. 144]) e direi ancor di più nella realizzazione, vista l'attualità dell'interpretazione della realtà data da Tolkien, anche se certo universale e non fondante per una singola nazione. L'evento storico, chiaramente mancante in Tolkien, pare non essere un elemento essenziale del genere (anche se molti hanno ravvisato nell'opera tolkeniana varie allegorie di fatti storici, lo stesso Tolkien le ha sempre rifiutate facendo riferimento alla dimensione esistenziale -e quindi universale- della sua ispirazione). Infine si parla espressamente a più riprese di canto e versi: Il Signore degli Anelli contiene diversi inserti in versi e nella produzione di Tolkien non mancano intere narrazioni versificate in antico inglese; sull'attenzione e importanza del canto in Tolkien non c'è davvero bisogno di aggiungere altro, quando si ricorderà che la Terra di Mezzo viene creata proprio cantando.

L'etimologia di 'epica' è collegata alla sfera del 'dire, parlare' e della 'parola'. Il gusto e il piacere di raccontare che traspare da tutta l'opera tolkeniana non può non farmi pensare a Tolkien come novello aedo ('cantore') e rapsode ('cucitore di canti') capace di catturare per ore l'attenzione di chi si siede attorno a lui con il semplice desiderio di ascoltare.

Le tentazioni di Davide

Napoli, 23/feb/2004 15:22

L'altra sera, preventivamente convinto il mio coinquilino (possessore della televisione e quindi unico ad essere insignito del bastone del telecomando) con reiterate ma ben distanziate, fugaci e solo apparentemente involontarie intercalazioni, della gravità di tale sua (lui giurisprudente) lacuna cinematografica, ho riguardato a tratti "L'avvocato del diavolo" (The devil's advocate, 1997) che Massimo Pappo, credo, definì in un qualche incontro parrocchiale come "un film teologico". Geniale sia nel concepimento che nella realizzazione, con dozzine di particolari stuzzicanti (quali il diavolo che parla tutte le lingue entrando facilmente in confidenza con tutti, reale nella finzione ma metaforico della realtà; la strada deserta, a sottolinearne l'interiore intimità, nel momento in cui Kevin si avvia ad affrontare il diavolo conoscendone ormai la vera natura, cosa che avviene solo dopo essere passati attraverso il dolore -qui la morte di Mary Ann ma confronta Giobbe-; il finale, con una nuova tentazione pronta a colpire proprio sulla vanità d'Achille di aver saputo resistere alla prima), si innalza a toni memorabili nel corso del lungo dialogo finale fra l'avvocato Kevin Lomax e il diavolo John Milton (dal nome del famoso autore di "The lost paradise"): lo scambio di battute è incalzante e non ce n'è una che sia scontata o di puro riempimento, tanto per prendere tempo o per ridare la parola all'altro. La differenza rispetto ai tempi dell'incontro del Pappo è che oggi c'è internet, e senza perdere troppo tempo vi allego un collage di alcuni frammenti del dialogo rimasti impigliati qua e là nella rete. Ovviamente sono in lingua originale ma prometto che se uno solo di voi me lo chiede, lo traduco per tutti (a meno che non sappiate di qualcuno che abbia pensato di trascriverlo dalla versione italiana).

Alcune riflessioni alla rinfusa, come sempre. Il diavolo prepara il palcoscenico ma è l'uomo che muove le corde: è il libero arbitrio, che però alla fine può essere una gran fregatura. La rabbia, il suo sfogo, l'ira, ci tolgono "l'ultima foglia di fico" lasciandoci completamente nudi: ci mostra nella nostra debolezza, mostrata la quale non abbiamo più ritegno e tutto diventa possibile. Kevin chiede "chi sei" e il diavolo gli rinfaccia "piuttosto chi sei tu" o chi ti credi di essere. Il diavolo dice di avere tanti nomi ma preferisce farsi chiamare "papà" (mentre Dio è "padre"). Nel rapporto di coppia, il problema non è amare un'altra/o (al posto della propria moglie/marito) ma amare troppo se stessi. La legge è il nuovo sacerdozio (anche un ritorno alla 'legge' dopo che Gesù ha svelato l'amore), massimo strumento di potere e dominio, quindi la miglior risorsa per promuovere il male assieme al progresso, che non fa altro che aumentare l'ego e la vanità dell'uomo, fornendo strumenti più potenti e raffinati per diffonderlo rapidamente (su questo credo si potrebbe riflettere a lungo). Dio è un burlone (confronta "il nome della rosa": Gesù ha mai riso nella sua vita terrena?) che ci dà istinti e regole che li soffocano e se ne sta lassù a ridersela in panciolle, mentre il diavolo è l'ultimo umanista, colui che ama l'uomo con tutti i suoi difetti, che si è invischiato in questo mondo fin dall'inizio, incoraggiando e sostenendo ogni istinto dell'uomo.

A questo punto non ho potuto fare a meno di pensare a Tolkien (pronuncia: tol-kiin), e specialmente all'Ainulindale (la dieresi sulla 'e' finale è inutile in italiano, serve agli inglesi perché si ricordino di pronunciarla), ovvero uno scritto che è la Genesi della Terra di Mezzo, premesso al Silmarillion. Si tratta senza dubbio di un capolavoro della letteratura mondiale e vi invito a leggerlo (sono una dozzina di paginette, io ne ho una versione elettronica in inglese), specialmente se la vostra conoscenza di Tolkien si limita al Signore degli Anelli cinematografico e alla concezione di autore Fantasy (ogni tanto qualcuno si stupisce che io ami Tolkien ma non i giochi di ruolo).

Dunque il creatore (Eru, confronta e-lettera cineforum di Ghibo) deve creare la Terra, Arda. Tolkien crea un mondo per poter usare le lingue da lui create, quindi niente di più ovvio che creare un mondo attraverso la parola. Purtroppo trattasi di idea già sfruttata (vedi la Genesi: Dio disse: "sia la luce" e luce fu), quindi Tolkien opta per un mondo creato attraverso la parola sublimata nella musica, cioè il canto. Innanzitutto crea gli Ainur, che sono figli del suo pensiero e ciascuno ne conosce quindi una parte. Poi insegna loro a cantare, proponendo singolarmente a ciascuno dei temi di musica, come se l'innata conoscenza del pensiero di Eru (le parole) fosse insufficiente ed avesse bisogno della musica per concretizzarsi, e questa musica dovesse essere appresa tramite Eru. Mentre Eru insegna ad uno, gli altri Ainur ascoltano e man mano crescono nel comprendersi gli uni gli altri e nel comprendere quindi il pensiero di cui sono figli e di cui ciascuno esprime una parte, quello di Eru.

Finalmente Eru propone un nuovo tema musicale e chiede a ciascuno di svilupparlo mettendo insieme le voci. Fatto questo, Eru siede ed ascolta l'armonia meravigliosa, insieme voci e orchestra, degli Ainur. L'immagine è bellissima, e tutti quelli che hanno cantato in un coro conoscono il piacere e la scoperta di mettere insieme le voci studiate prima singolarmente. E' questo canto corale a creare Arda, la Terra, ma mentre la creazione si dispiega il più potente degli Ainur ("aveva una parte della conoscenza di ciascuno dei suoi fratelli"), Melkor, inizia a mescolare idee di testa sua, non in accordo con il tema di Eru: Melkor credeva di migliorare la parte a lui assegnata, voleva abbellire ancora di più la terra mettendoci qualcosa di esclusivamente suo. Come ben sappiamo, è difficile rimanere intonati quando qualcuno vicino a noi stona o fa il fenomeno aggiungendo una sua propria voce, così anche altri Ainur si mettono a seguire Melkor fino a ché ormai l'armonia iniziale è irrimediabilmente persa e si rende necessario un nuovo intervento accordatore di Eru, che ripropone il tema iniziale continuando a cantarlo personalmente in contrapposizione a quello di Melkor. Nel bel mezzo di questa fragorosa lotta, Eru inizia a cantare un nuovo tema, questa volta diverso, che nessuno aveva mai sentito prima. Questo tema, rimasto nascosto agli Ainur, rappresenta la creazione degli Elfi e dell'Uomo, creazione che rimane merito esclusivo di Eru e che dà un senso (uno scopo) alla creazione della terra da parte degli Ainur.

Fatto sta che gli Ainur vedono Arda dal di fuori e si innamorano subito della concretizzazione del loro canto, come tutti noi ci innamoriamo del prodotto delle nostre mani o del prodotto intellettuale della nostra testa. Chiedono il permesso ad Eru e decidono di entrarvi, cosa che Eru concede chiarendo che chi entra nella creazione rimarrà ad essa legato e in essa sarà per sempre contenuto. Ovviamente Melkor si butta a capofitto in Arda fingendo con se stesso di volersi mettere al servizio dei bambini di Eru, gli Elfi e gli Uomini, e aiutarli a crescere, mentre in realtà brama di soggiogarli per averli al proprio servizio, essendo ammirato dalle loro capacità e dalla bellezza di tale atto creativo di Eru. Qui mi fermo, se volete sapere come va a finire leggetevelo e perdonatemi qualche mia semplificazione.

Dunque il male è una stonatura, il libero arbitrio di stonare e andare fuori tempo, rispetto ad un ritmo e una armonia, per la vanità di farsi notare, di mostrarsi più bravo degli altri. Una stonatura in un'armonia, non in una melodia: Eru aveva esplicitamente lasciato agli Ainur la libertà di sviluppare il tema secondo la propria sensibilità; non c'era la costrizione di un'unica linea melodica ma, per così dire, di un accordo. In questa concezione, mi colpisce anche la dimensione 'estetica' (l'intenzione di fare qualcosa di bello o di godere di qualcosa di bello) e 'pubblica' (gli altri sentono, sono in ascolto, ma partecipi, e possono esserne sviati) di ogni singolo atto malvagio.

Il testo del dialogo finale del film L'avvocato del diavolo (in inglese)

LOMAX: What did you do to Mary Ann?
MILTON: Free will. It's like butterfly wings. Once touched, they never get off the ground. No, I only set the stage. You pull your own strings.
LOMAX: Goddamn it, what did you do to my wife?
MILTON: Well, on a scale of one to ten. Ten being the most depraved acts of sexual theater known to man. One being your average friday night run-through at the Lomaxes' houselhold. I'd say, not to be inmodest, Mary Ann and I got it on in about seven.
LOMAX: Fuck you!
MILTON: Got me! Yes. Step it out, son! Come on, That's good. You got to hold on to that fury. That's the last thing to go. That's the final hiding place. It's the final fig leaf.
LOMAX: Who are you?
MILTON: Who am I? Who are you? Never lost a case. Why? Why do you think? Because you're so fucking good. Yeah, but why?
LOMAX: Because you're my father?
MILTON: I'm a little more that that, Kevin. "Awfully hot in that courtroom, wasn't it?" "What's the game plan, Kevin?" "It was a nice run, Kev." "Had to close out someday." "Nobody wins them all."
LOMAX: What are you?
MILTON: Oh, I have so many names.
LOMAX: Satan.
MILTON: Call me Dad.
LOMAX: Mary Ann, she knew it. She knew it, so you destroyed her.
MILTON: You're blaming me for Mary Ann. Oh, i hope you're kidding. Mary Ann, you could have saved her anytime you liked. All she wanted was love. Hey, you were too busy.
LOMAX: That's a lie.
MILTON: Mary Ann in New York? Face it, you started looking to a better-deal her the minute you got here.
LOMAX: That's not true. You don't know what we had. You don't know anything about it!
MILTON: Hey, I'm on your side.
LOMAX: You're a liar.
MILTON: Hey, Kevin. There's nothing out there for you. Don't be such a fucking chump! Stop deluding yourself! I told you to take care of your wife. What did i say? "The world would understand." Didn't I say that? What did you do? "You know what scares me, John? I leave the case, she gets better, and then I hate her for it." Remember?
LOMAX: I know what you did, you set me up.
MILTON: Who told you to pull out all the stops on Mr. Gettys? Who made that choice?
LOMAX: It's entrapment. You set me up.
MILTON: And moyez! The direction you took! Popes, Swamis, snake handlers, all feeding at the same trough. Whose ideas were those?
LOMAX: You played me! It was a test. Your test!
MILTON: And cullen! Knowing he was guilty! Seeing those pictures! What did you do? You put that lying bitch on the stand!
LOMAX: You brought me in. You put me there. You made her lie.
MILTON: I don't do that, Kevin. That day on the subway, what did i say? What were my words to you? "Maybe it was your time to loose." You didn't think so.
LOMAX: Loose? I don't loose. I win! I win! I'm a lawyer, that's my job, that's what I do!
MILTON: I rest my case.
MILTON: Your vanity is justified. Your son will sit at the head of all tables.
LOMAX: The Anti-Christ?
MILTON: Vanity is definitely my favourite sin. Kevin, it's so basic. Self-love. The all natural opiate. You know, it's not that you didn't care about Mary Ann, Kevin. It's just that you were a little more involved with someone else. Yourself.
LOMAX: You're right. I did it all. I let her go.
MILTON: Don't be too hard on yourself, Kevin. You wanted something more. Believe me.
LOMAX: I left her behind and just kept going.
MILTON: You cannot keep punishing yourself. It's awesome how far you've come. I didn't make it easy. Couldn't. Not for you or your sister. Half-sister to be exact. Kevin, I've had so many children. I've had so many dissapointments. Mistake after mistake. And then there's you, the two of you.
LOMAX: What do you want from me?
MILTON: I want you to be yourself. You know, I'll tell you boy, Guilt is like a bag of fucking bricks. All you got to do is set it down. Who are you carrying all those bricks for? God? Is that it? God? Well, I'll tell you. Let me give you a little inside information about God. God likes to watch. He's a prankster! Think about it. He gives men instincts. He gives you this extraordinary gift, and then, what does He do? I swear, for His own amusement, His own private, cosmic gag reel, He sets the rules in opposition. It's the goof of all time. Look but don't touch. Touch but don't taste. Taste but don't swallow. And while you're jumping from one foot to the next, what is He doing? He's laughing his sick, fucking ass off. He's a tightass! He's a sadist! He's an absentee landlord. Worship that? Never!
LOMAX: "Better to reign in hell than serve in heaven," is that it?
MILTON: Why not? I'm here on the ground with my nose in it since the whole thing began. I've nurtured every sensation man has been inspired to have. I cared about what he wanted and I never judged him. Why? Because i never rejected him, in spite of all his imperfections! I'm a fan of man! I'm a humanist. Maybe the last humanist. Who, in their right mind, Kevin, could possibly deny the 20th century was entirely mine? All of it, Kevin. All of it. Mine. I'm peaking, Kevin. It's my time now. It's our time.
LOMAX: In the Bible you loose. We're destined to lose dad.
MILTON: Well consider the source son.
LOMAX: You want a child?
MILTON: I want a family.
LOMAX: The Antichrist.
MILTON: Whatever.
LOMAX: But I have to volunteer.
MILTON: Free will - it is a bitch. Kevin, I need a family. I need help. I'm busy. Millennium's coming. Title-fight. Round 20!
LOMAX: What are you offering?
MILTON: Negotiating?
LOMAX: Always.

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MILTON: Freedom... is never having to say you're sorry.

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LOMAX: Why the law? Cut the shit, Dad. Why lawyers? Why the law?
MILTON: Because the law, my boy, puts us into everything. It's the ultimate backstage pass, it's the new priesthood, baby.
MILTON: You sharpen the human appetite to the point where it can split atoms with its desire; you build egos the size of cathedrals; fiber-optically connect the world to every eager impulse; grease even the dullest dreams with these dollar-green, gold-plated fantasies, until every human becomes an aspiring emperor, becomes his own God... and where can you go from there?

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LOMAX: What about love?
MILTON: Overrate. Biochemically no different than eating large quantities of chocolate.


Appendice zoroastriana inedita

Da risistemare, non incluso nella lettera comunitaria.

Anche nello Zoroastrismo la lotta tra bene e male è strettamente legata ai confini del mondo terreno. Il tempo è diviso in tre grandi momenti: creazione, mescolamento (gumezishn), separazione. Ne deriva una concezione 'combattente' della vita del credente, che rappresenta una pedina che deve fare la sua parte nello scontro: al di là del fatto che una volta morti, cioè usciti dal mondo terreno, la vittoria è del bene, proprio per questo diventa importante combattere la propria battaglia in questo mondo, dove il male deve ancora essere sconfitto.

Più tardi, per avere più potere, Sauron raccoglie, concentra e infonde tutto il potere e il male nell'anello. La controindicazione ovviamente è che ora basterà distruggere l'anello per distruggere tutto il suo potere. Da questo punto di vista, l'anello di Melkor è Arda stessa (come il titolo del volume 10 della serie "Storia della terra di mezzo").

Una concezione simile si trova nello zoroastrismo, dove tutta la battaglia fra bene e male si gioca sulla terra, ed è quindi qui che bisogna affilare le armi, qui che il male deve essere sconfitto. Una corrente, lo zurwanismo, propone però una soluzione molto originale al problema della nascita del male: il male è il dubbio che sorge nella mente dello stesso creatore (Zurwan, dio del tempo) che la propria creazione non possa effettivamente compiersi. Il dubbio e la creazione stessa vengono concepiti contemporaneamente; al momento della nascita però il male, essendo più furbo, si fa strada e esce per primo dal ventre di Zurwan. Zurwan è costretto a dargli il potere, ma solo per un periodo limitato di tempo.

Blind drunk

18/I/2004, 14:46
II domenica del tempo ordinario C

"ATTENZIONE! Prendi un pezzo di carta e rispondi alle seguenti domande. Non passare alla domanda successiva se non hai risposto alla precedente"

Hai avuto nella tua vita dei momenti di vera gioia?

Su circa 110 persone, qui hanno risposto di sì in 12 (la gioia pare merce rara).

Se sì, per quale motivo?

"Mentre servivo degli ammalati, c'è stato un momento in cui abbiamo pianto insieme, ma pianto di gioia, perché loro mi danno sempre tanto" (una ragazza); "nella preghiera e nei momenti di ritiro, nelle esperienze forti con Gesù" (un adulto sposato); "i figli, quando ti nasce un figlio" (un anziano); "sarò paranoico, ma a me proprio quando non ho nessun motivo di essere felice mi vien voglia di essere felice" (un giovane single); "io sinceramente quasi tutte le mattine quando mi alzo" (una giovane); "anch'io, ma solo dopo aver preso 'na tazzulella 'e caffè!" (il moroso della precedente giovane); "se mi guardo intorno... [indicando gli amici, ridendo], trovo sempre dei buoni motivi per essere felice" (un giovane).

Ma bisogna davvero andare all'ospedale per provare gioia? Bisogna aspettare quei due o tre ritiri che si fanno in un anno? E chi non ha figli? E chi li ha, solo una, due, tre, massimo quattro volte nella vita è stato felice?

Il vangelo di oggi [Giovanni 2,1-12] si concludeva così:

Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. [Giovanni 2,11]

Ma l'evangelista non parla di 'inizio dei miracoli' bensì di 'principio dei segni', semèion in greco, da cui it. 'semantica' o, più comunemente, 'semaforo'. L'inizio insomma dei 'segnali' lanciati da Gesù agli uomini.

Mi faceva notare qualcuno che aveva partecipato alla beatificazione di Madre Teresa da Calcutta, che l'immagine scelta per il santino commemorativo è quella di una Madre Teresa sorridente, con i denti poco plausibilmente bianchi bene in vista. Non, quindi, un sorriso serafico e beato (a labbra chiuse) o un volto serio e corrucciato al pensiero dei peccati dell'umanità.

Secondo te, Gesù rideva? Tutto "Il nome della rosa" di Umberto Eco ruota su tale questione.

Mi immagino Gesù, tradizionalmente trentenne, che si pone il problema concreto di iniziare la sua attività pubblica di predicatore e leader carismatico. Chissà quanto tempo avrà perso aspettando l'occasione giusta. Avrà cercato di rimandare il più possibile ("Padre... allontana da me questo calice" dirà poi [Luca 22,42]) e di godersela finché era il garzone di un carpentiere. Avrà vagato per tutta la Galilea alla ricerca di un miracolo serio da compiere, con cui fare una figura eclatante e cominciare bene la carriera. "Per redimere tutta l'umanità c'è ancora un po' di tempo", si sarà detto, "ma ci fosse almeno un attentato kamikaze da sventare". "Ma tanto non ci stanno ancora la televisione e i giornali a parlarne... mannaggia, fra 2000 anni sarebbe stato tutto più semplice", avrebbe concluso. Invece, e se volete datene la colpa a Maria, con tutte le malattie e cattiverie che ci stanno al mondo, si è ritrovato a trasformare dell'acqua in vino, a sprecare il primo miracolo per degli ubriaconi. Dalla camera di Fabio, sento Bonolis in televisione che si chiede se l'acqua sia un diritto o un bisogno dell'umanità. Beh, per Gesù pare fosse più importante il vino.

Mi sembra che la prima cosa che Gesù ha voluto mettere in chiaro, è che i suoi amici vivano nella gioia. E per questo fu pronto a trasformare l'acqua in vino "che allieta il cuore dell'uomo" [Salmi 103,15]. Ma non mi sembra possibile essere felice da solo. Al massimo da solo posso essere soddisfatto di ciò che ho fatto o di come mi sono comportato (se ho fatto cose belle o mi sono comportato bene). Per essere felice io ho bisogno di essere almeno in due. Non tutti necessariamente felici, ma almeno uno felice che per simpatia diventi motivo agli altri di felicità, se non altro per partecipazione alla tua felicità, alla felicità di un amico.

If more of us valued food and cheer and song above hoarded gold, it would be a merrier world. [J.R.R. Tolkien, The Hobbit, p. 266 (detto dal nano Thorin Oakenshield 'Scudodiquercia' in punto di morte]
Se più persone fra di noi valutassero il cibo e i brindisi e i canti al di sopra dell'ammassare oro, il mondo sarebbe più allegro.

La gioia si trova dunque nel condividerla, nello stare insieme, in compagnia. E la miglior espressione dello stare insieme è lo stare seduti attorno alla stessa tavola, in agape fraterna, come si dice da noi. E fra tutti i banchetti, il più gioioso è il banchetto nuziale, in cui si celebra un uomo e una donna che non saranno più soli ("nessuno ti chiamerà più Abbandonata" [Isaia 62,4; prima lettura]). Quella del banchetto nuziale è un'immagine molto cara a Gesù, perché l'amore tra sposo e sposa è la realtà terrena che più si approssima all'amore di Dio per l'uomo: "Per amore di Sion non mi terrò in silenzio", "Sì come un giovane sposa una vergine, così ti sposerà il tuo creatore; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te" [Isaia 62,1 e 5; prima lettura]. Un'unione, quella fra Dio e l'uomo, che possiamo celebrare tutti i giorni nella comunione eucaristica... anche se non ci accorgiamo più che l'altare è una mensa e raramente beviamo vino alla comunione.

Appendice tolkeniana

Cantare
If more of us valued food and cheer and song above hoarded gold, it would be a merrier world. [J.R.R. Tolkien, The Hobbit, p. 266 (detto dal nano Thorin Oakenshield 'Scudodiquercia' in punto di morte]
Se più persone fra di noi valutassero il cibo e i brindisi e i canti al di sopra dell'ammassare oro, il mondo sarebbe più allegro.

Un'obiezione alla frase di Thorin potrebbe essere che la nostra società -specie a ridosso del periodo natalizio- gode "consumisticamente" del cibo e del bere. E’ poi vero che uno accaparra oro proprio per potersi permettere cibo e altri piaceri. Ma il vero senso della frase di Tolkien è che la cosa più importante è mangiare, bere e cantare. Dal momento che uno ha i mezzi per soddisfare questi bisogni fondamentali e irrinunciabili (almeno mangiare e bere) non ha bisogno d’altro.

Il cantare mi sembra quindi rappresentare tutto ciò che, pur non fisiologicamente necessario al corpo, ci serve per essere felici. Mi sembra rappresenti anche l’arte in genere, il canto e la musica ma anche la letteratura, in quanto i canti in Tolkien raccontano storie. Tra l'altro Tolkien precisa, prima di trascrivere un canto:

And this is like a fragment of their song, if it can be like their song without their music. [J.R.R. Tolkien, The Hobbit, p. 14]
E questo è all'incirca un frammento del loro canto, se può essere all'incirca il loro canto senza la loro musica. [io intendo qui 'musica' nel senso di melodia, anche se i nani suonavano nel contempo strumenti musicali]

Chi abita da solo credo sappia quanto può essere piacevole cantare ad alta voce mentre si sbriga qualche lavoro in casa, o ascoltare musica registrata. Tanto che credo facciano più bene agli altri (e fra l'altro più a lungo nel tempo, nella libera iterazione di una registrazione e anche una volta morti) i Radiohead che un medico chirurgo che salva fisicamente vite umane.

Avrete già notato che una buona liturgia soddisfa tutti e tre gli 'auspici' tolkeniani.

Il bene che ricade sugli altri

Ne Lo hobbit Tolkien racconta una grande avventura, un lungo viaggio, in cui Bilbo Baggins acquista sempre più coscienza delle sue capacità nell'affrontare le situazioni più difficili e riuscire a cavarsela. Bilbo è fortunato ma riesce sempre a sfruttare con intelligenza e prontezza i colpi di fortuna che gli si presentano. I suoi compagni di viaggio non sapranno fare altrettanto. Alla fine, la buona riuscita dell'avventura porta pace e prosperità a tutta la regione. L’ultima parola, nel libro, spetta a Gandalf, il saggio, che conclude:

"Ma non penserai che tutte le tue avventure siano riuscite solo a tuo beneficio. Caro signor Baggins, tu sei una persona davvero speciale e io sono molto orgoglioso di te, ma sei solo un piccoletto in un mondo vastissimo, dopo tutto!".

Tutto il bene che ci capita, anche se siamo noi i primi a goderne, ci capita perché noi possiamo rifletterlo sugli altri. Tanto per fare un esempio riduttivo e banale, se ho una salute di ferro è chiaro che sono io a goderne, però questa salute va sfruttata, dandomi la possibilità di aiutare chi invece si ammala. Lo stesso vale per il dolore: come si dice, la gioia si moltiplica comunicandola, il dolore si divide (forse non viene esattamente dimezzato, ma un peso portato da soli e portato da più persone diventa sicuramente più leggero). Ma la frase di Gandalf è più profonda, nel senso che il bene si irradia comunque, e noi pure assorbiamo quello delle persone che ci circondano (altro esempio banale: nascere in una buona famiglia).

You don’t really suppose, do you, that all your adventures and escapes were managed by mere luck, just for your sole benefit? You are a very fine person, Mr Baggins, and I am very fond of you; but you are only quite a little fellow in a wide world after all!”.
“Thank goodness!” said Bilbo laughing... [fine del libro, p.280]
La fortuna

La fortuna ha un ruolo fondamentale nelle avventure di Bilbo e, abituato a ragionare per meriti (esperienza peraltro ben contrastata dalla realtà delle cose), questa centralità mi ha fatto riflettere. Come d'altronde il ruolo di Gandalf, che arriva sempre inaspettatamente al momento opportuno e risolve la situazione quando gli sforzi di tutti erano stati vani. Uno degli espedienti narrativi più fini, è sicuramente il momento in cui i nani si attardano incoscientemente nella grotta, chiedendosi come riuscire nella disperata impresa di uccidere il drago Smaug/Smog, nello stesso momento in cui in realtà Smaug giaceva già morto nelle acque del lago, e come il merito di tale uccisione spetti in parti uguali alla freccia di Bard, al tramite del corvo, e, inconsapevolmente, alla stessa spavalderia del drago (che mostra il suo punto debole, p. 211 dell'edizione inglese) e all'intelligenza di Bilbo; come a dire che il bene deriva da un gesto fisico (armato), da un provvidenziale aiuto esterno, dall'abilità nelle parole e dal male stesso.

La quotidianità

In Tolkien l'avventura non termina mai quando tutto si risolve. E non termina neppure, per così dire, pochi minuti dopo come nei film (basta guardare il numero dei capitoli che seguono la fine dell'anello nel vulcano). Ogni avventura deve terminare là dove è incominciata ("There and back again" è il sottotitolo de Lo Hobbit), e precisamente deve essere percorso a ritroso tutto il lento e anche faticoso cammino che riconduce a casa e all'ordinarietà. Il capitolo dedicato alla 'battuta della Contea', precisa Tolkien nella prefazione (che mi pare sia sostituita nell'edizione italiana da quel ridicolo saggio di Zolla), era concepito fin da principio come conclusione de Il signore degli anelli e non aveva nulla a che fare (se non nell'intuizione e preveggenza di Tolkien) con la seconda guerra mondiale e con quel terribile strascico di ogni guerra che fu l'epurazione di nazisti e fascisti in Germania e Italia. Per non parlare delle appendici che riportano gli ulteriori avvenimenti concernenti i membri della compagnia dell'anello (appendice B), con lo stesso Sam che raggiunge gli 'ormeggi grigi' ('Grey Havens' in inglese, non 'oscuri', l'idea è connessa con l'invecchiamento credo), avendo anch'egli portato, seppur per un giorno solo, l'anello (quando credette morto Frodo dopo lo scontro con Shelob). Anche tenendo presente questo evento successivo, vale la pena rileggere la conclusione de Il Signore degli anelli, dove alcuni particolari (la cena pronta e la precisazione che c'era qualcuno ad aspettarlo, il ruolo della moglie che lo fa entrare e accomodare sulla sua sedia, la bambino in grembo) mi pare siano delle precise chiavi di lettura di tutto il libro (dove protagonisti come Bilbo e Frodo non hanno invece legami famigliari):

And he went on, and there was yellow light, and fire within; and the evening meal was ready, and he was expected. And Rose drew him in, and set him in his chair, and put little Elanor upon his lap.
He drew a deep breath. 'Well, I'm back', he said.

Spunti per una recensione della versione cinematografica de Il ritorno del re

Napoli, 25/gen/2004 23:48
Leggete solo se avete già visto il film e siete dei maniaci di Tolkien. Attendo, dai pochi temerari che arriveranno in fondo, smentite e precisazioni.

Premesso che la visione della terza parte del Signore degli Anelli è una gioia per gli occhi e che molte scene sono memorabili (i fuochi di segnalazione, la partenza dell'esercito di Mordor dalla scala di Cirith Ungol, i colpi di catapulta all'inizio dell'assedio di Minas Tirith, l'arrivo dei Rohirrim ai Pelennor, Legolas che fa lo scivolo sulla proboscide dell'Olifante, l'uccisione del capo dei Nazgul, l'avvolgimento di Frodo nella bava di Shelob, l'accerchiamento davanti al Nero Cancello) traducendo in immagini alla perfezione l'intuizione letteraria di Tolkien, sono rimasto un po' deluso dalla resa cinematografica del momento culminante (verso cui convergono le 9 ore di proiezione!) e dal finale (ma non dall'ultima scena!).

DIGRESSIONE SULLA SECONDA PARTE

I due sceneggiatori avevano a loro disposizione una base di partenza eccellente. Lo stesso Tolkien aveva suddiviso la storia in tre parti, ciascuna suddivisa in due libri, ben equilibrate, con un inizio, una fine, un senso e uno scopo. Aveva fatto anche di più: la seconda parte ad esempio è magistrale nel dedicarsi esclusivamente prima al resto della Compagnia dell'Anello (libro III) poi a Frodo, Sam e Gollum (libro IV). I due libri sono praticamente autonomi e narrano eventi all'incirca contemporanei, e il lettore si diverte nel cogliere, leggendo il secondo dei due, segni (per lo più atmosferici) che lo accomunano e ne scandiscono il ritmo rispetto al libro precedente.

Ciononostante gli sceneggiatori hanno sentito il bisogno di spostare l'imboscata di Shelob nel terzo film. Motivazione: nel secondo film c'era già un momento di forte drammaticità, la battaglia al Fosso di Helm, e lo spettatore non ne avrebbe sopportato un altro ["Le due torri", DVD extended edition]. Fino qui avrei anche potuto capire, oltre al fatto che terminare il film come la seconda parte del libro, con Frodo catturato dagli orchi di Cirith Ungol (ma non appena Sam era già venuto a conoscenza del fatto che Frodo non era realmente morto: Tolkien dosò bene la suspence!) poteva essere un po' traumatico per uno spettatore che avrebbe dovuto aspettare un anno per sapere come andava a finire. Senonché, tolto Shelob, il cammino di Frodo sarebbe proceduto troppo comodamente, dicono gli sceneggiatori, quindi ecco che un personaggio positivo come Faramir deve trasformarsi cinematograficamente in cattivo, almeno per un po', procurando a Frodo e Sam l'assurda -da un punto di vista tolkeniano, in cui il cammino di Frodo subisce cambi di programma ma non torna mai, per così dire, indietro (cioè rimane sempre a est del fiume Anduin)- deviazione ad Osgiliath.

Gli sceneggiatori avevano ovviamente molto di più a loro disposizione. La narrazione di Tolkien è cinematografica in se stessa in quanto lo stile è estremamente visivo mentre i dialoghi (tenendo presente la mania di Tolkien per il calcolo delle distanze, dei percorsi, dei giorni di viaggio) hanno tutti la durata fisicamente necessaria al loro svolgimento mentre l'azione concomitante prosegue. Nella prima metà della terza parte del film ci sono alcuni dialoghi perfettamente inutili, in cui i personaggi dicono frasi scontate prese -si direbbe- da qualsiasi film di cappa e spada. Il pubblico napoletano esterna rumorosamente in tempo reale le sue impressioni sul film e i dialoghi applauditi mi sono sembrati tutti quelli tratti letteralmente dal libro.

SULLA FINE DELL'ANELLO

E' chiaro che la storia è a lieto fine. In questi casi, la genialità dell'autore si dimostra nel riuscire a stupire il lettore rimanendo nell'ovvietà di questo dato. Nel libro Tolkien ci riesce magistralmente, e la fine dell'anello si consuma in una pagina memorabile che lascia il lettore a bocca aperta (tanto che io mi sono sentito in dovere di segnare data e ora del momento in cui per la prima volta arrivai a leggerla). Quando Frodo entra nel Sammath Naur, la camera di fuoco nel monte Fato, l'azione cinematografica ha tradito, mi è sembrato, la narrazione fortemente visiva del libro. Voglio dire, leggendo io me l'ero immaginato, e sono rimasto deluso vedendolo realizzato nel film in maniera diversa da come me l'ero immaginato. E' vero che nel film si presentava il problema di visualizzare la lotta di Gollum -essere peraltro già digitale- con l'invisibile Frodo. Problema risolto in maniera sbrigativa riducendo al minimo la sequenza della lotta fra i due. Il risultato mi è parso ridicolo: Gollum ballonzola a mezz'aria con delle finte fiamme dietro (probabilmente sarebbe stato molto meglio far simulare una lotta lasciando Gollum con i piedi per terra). In pratica, proprio nel momento topico del film, stavamo tutti lì a guardare il niente digitale, senza alcun attore in carne ed ossa, senza che ci fosse la presenza visibile di un uomo. A questo punto, sarebbe bastato farsi guidare dal libro: Gollum pare aver afferrato qualcosa, portarlo alla bocca e dare un forte morso. Urlo di Frodo (il contributo in dolore dell'uomo) e di colpo eccolo riapparire, piegato a terra. Tolkien mette un punto, di seguito (qui mi immaginavo la telecamera, prima stretta su Frodo fermo in ginocchio, che allargava il campo inquadrando Gollum in piedi in movimento) torna su Gollum con il dito staccato di Frodo e l'anello in mano che, saltellando di pazza gioia e urlando a più non posso "il mio tessoro", si ritrova sull'orlo, ondeggia per un attimo e cade urlando per l'ultima volta "tessoro". Qui il punto culminante, l'invenzione geniale, è il morso di Gollum. Giunti a questo punto, bisognava passare subito all'inevitabile conclusione (Gollum che scivola). Il film invece si sofferma quei 10 secondi in più, non solo, ma c'è il gravissimo errore di far rientrare in gioco Frodo (cosa per altro scontatissima), mentre mi sembra evidente l'importanza che sia Gollum da solo, preda della folle gioia, a cadere nel baratro. Potremmo anche dire che Frodo, pur privo dell'anello, non sarebbe stato capace di spingere Gollum se questo avesse significato anche la fine dell'anello: avrebbe pur sempre voluto salvare l'anello per impossessarsene. L'anello poteva finire nel magma solo così: per errore.

(25/I/2005) Nota postuma Leggendo HoMe 9, ho scoperto che Tolkien prese in considerazione l'idea di dare una spintarella a Gollum. Non da parte di Frodo, bensì di Sam, che non era obnubilato dal "fascino" dell'anello.

DIGRESSIONE SU GOLLUM

Gli sceneggiatori, nella medesima intervista, si attribuiscono il merito di aver trasformato Gollum in uno dei protagonisti dell'azione, sfruttandone appieno l'alto potenziale drammatico. Direi che, casomai, l'hanno ridotto, in quanto hanno tolto a Gollum il merito di aver disfatto l'anello: hanno avuto bisogno di richiamare in causa Frodo. E' chiaro infatti che Frodo, pur avendo fatto il 99% del percorso, non sarebbe stato capace di gettarlo. Nessun possessore dell'anello poteva esserne capace. Ad Andy Serkis, lo straordinario attore che ha fatto da controfigura umana a Gollum (lo si vede in carne ed ossa all'inizio della terza parte del film nei panni dell'hobbit Smeagol) suggerendo agli animatori le mosse e le espressioni, viene invece dato il merito della schizofrenia di Gollum. Schizofrenia ovviamente ideata tutta da Tolkien. Da questo punto di vista è sbagliato, credo, il dialogo schizofrenico nella terza parte del film (mentre andava bene quello nella seconda parte), dove Gollum si specchia nelle acque, e il dialogo è fra Gollum cattivo e Gollum cattivo. La schizofrenia doveva essere sempre fra Smeagol buono (che si affeziona a Frodo che gli vuole bene) e Gollum cattivo (obnubilato dall'anello).

SULL'OMISSIONE DELLA 'BATTUTA' DELLA CONTEA

Quando ho visto che il palantir di Orthanc veniva ritrovato per terra (o sott'acqua) e che Saruman manco si vedeva (lasciando lo spettatore con il dubbio: che bisogno c'era di fare questo stacchetto su Orthanc? solo per far vedere Barbalbero e recuperare Merry e Pippin?) ho presagito che la 'battuta' della Contea (penultimo capitolo del libro) non era prevista dalla sceneggiatura. Strano perché, se non ricordo male, nella prima parte del film, nello specchio di Galadriel, Sam vede proprio la profezia della rovina della Contea (a causa di Saruman scappato da Orthanc). Tuttavia, come sottolinea lo stesso Tolkien nella prefazione al libro (prefazione sostituita nell'edizione italiana dal ridicolo saggio di Zolla), la 'battuta' della Contea è parte della storia fin dal suo primo concepimento. Segna le difficoltà del ritorno (come troppo spesso accade nella realtà, si pensi ad esempio a ciò che ha fatto seguito alla fine nominale della seconda guerra mondiale) alla normalità e segna la piena maturità dei quattro hobbit, i quali, scacciato Saruman senza l'aiuto di Gandalf o degli uomini, diventano dei personaggi famosi (con tutto quello di bene e di male che può portare la notorietà). La scena del film all'osteria, con i quattro hobbit che brindano nell'indifferenza generale, mi è sembrata quindi semplicemente fuori luogo. Capisco che non c'era tempo per la 'battuta' ma di fatto il film si strascina per molti altri minuti. Forse il giusto finale era dopo l'omaggio agli hobbit a Minas Tirith. Personalmente avrei casomai omesso la partenza di Frodo, Gandalf e gli Elfi dai Rifugi Oscuri (o, come preferisco, dai Grigi Ormeggi), la cui necessità sfugge a chi non abbia letto il libro (e ci sarebbero altre cose non trasparenti nei confronti del pubblico non lettore).

L'ULTIMA SCENA

Ho apprezzato molto invece l'ultimissima scena (mentre il resto del pubblico urlava un fragoroso 'basta' al vedere l'ennesimo cambio di scena dopo aver lasciato la nave sulla via del tramonto, giudicato evidentemente un finale più che sufficiente). Coincide infatti con le ultime parole del libro, anche se l'immagine di Sam che arriva e trova la tavola apparecchiata (era cioè atteso, e la moglie gli pone in braccio la figlia, e Sam dice "bene, sono tornato" alla Monsignore) viene ragionevolmente sacrificata per inquadrare la porta rotonda come un oblò della tana hobbit (certo non 'caverna' come è tradotto ne 'Lo hobbit') che si chiude lasciandoci fuori dopo che Sam, ultimo portatore (seppur per poco) dell'anello rimasto nella Terra di Mezzo (probabilmente l'unica traduzione italiana migliore dell'originale inglese 'Middle Earth'), è entrato.

Non mi ha deluso invece una delle altre scene più vivide, secondo me, della storia: l'uccisione del capo dei Nazgul. Quando Eowyn risponde 'e infatti non sono un uomo...' il cinema è esploso in un boato. Volendo si poteva forse evidenziare di più il contributo di Merry che, alle spalle, arriva a colpire il Nazgul alla caviglia, dando l'attimo al fendente di Eowyn.

Altra bella idea, però mal realizzata perché quando arrivano gli orchi (e Sam è già scappato) dalla tela di Shelob compare a malapena il volto di Frodo (Sam avrebbe dovuto strapparla di più per prendere l'anello), è non far vedere che Sam si è impossessato dell'anello, lasciando lo spettatore con un ansia infondata per un bel po' (tanto che io avevo immaginato un immotivabile cambio rispetto al libro).

Mi è piaciuta molto la realizzazione (un altro dei miei punti interrogativi della vigilia) dell'armata dei morti e direi che è stata pienamente giustificata la sua partecipazione cinematografica alla battaglia dei Pelennor, anche se probabilmente Tolkien voleva che i Pelennor fossero combattuti solo dai vivi (nel libro i morti sgominano i pirati ma prima dell'arrivo a Minas Tirith). Mi aspettavo però che Aragorn scendesse dalla nave già bardato da re (più o meno come è invece nel film più tardi davanti al Nero Cancello). Nel libro infatti si pone l'accento sullo stendardo, confezionato da Arwen, che campeggia sulla nave dei pirati, creando una potente entrata in scena del nuovo re, dato da tutti per disperso. Nel film invece si è sacrificato tutto questo per un pugno di battute sui pirati proferite dagli orchi (per cui non si doveva capire che non erano pirati finché non sbarcavano; lo stendardo viene portato da Arwen direttamente all'incoronazione di Aragorn).

Un paio di domande: non ho mai capito a quale episodio storico (nel mondo tolkeniano) si fa riferimento a proposito del giuramento non mantenuto dall'armata dei morti; poi non ricordo se l'episodio di Pippin che accende il fuoco di segnalazione di Minas Tirith è tratto dal libro.

Bene... mi sento proprio appagato dall'aver questionato per un'ora su una finzione della fantasia (cosa d'altronde non molto diversa dal mio lavoro di tutti i giorni!).

Corrispondenza

2 maggio 2004

Carissimi,
so che voi siete ormai "appassionati" a ben altro, ma io sono ancora fermo in piena prima era...

Passo temporaneamente alla terza era per una doverosa precisazione sui fuochi di segnalazione (beacon). In UT se ne parla in due o tre passi, in particolare vedasi p. 544 dell'edizione italiana, l'ultima pagina del testo sui Palantiri:

Denethor, in ansia per i destini del Rohan e costretto a decidere se ordinare o meno di accendere i falò sulle torri di guardia e l'invio della «freccia», ...

Della più alta delle torri di segnalazione, Halifirien, si parla poi a p. 402-403 sempre dell'edizione italiana. Grazie all'indice analitico di LR, sono risaltio a questo scambio di battute fra Pippin e Gandalf mentre galoppano verso Minas Tirith nel primo capitolo di RK:

Look! Fire, red fire! Are there dragons in the land? Look, there is another!
The beacons of Gondor are alight, calling for aid. War is kindled. See, there is the fire on Amon Dîn, and flame on Eilenach; and there they go speeding west: Nardol, Erelas, Min-Rimmon, Calenhad, and the Halifirien on the borders of Rohan. [RK, p. 6]

La consegna della freccia rossa avviene successivamente, in seguito all'intervento di Gandalf su Denethor [RK, p. 73]. Rimane quindi il fatto che non è Gandalf con l'aiuto di Pippin ad accendere il primo fuoco a Minas Tirith, tuttavia non mi stupirei se consultando HoMe 8, contenente la storia redazionale dell'episodio in questione, non scoprissimo che fu lo stesso Tolkien a ideare e poi scartare una simile possibilità. Effettivamente gli sceneggiatori del film si sono rivelati molto attenti e pignoli (lo stesso dicasi ad es. per le iscrizioni elfiche sulle spade, nonché nella casa di Elrond, impeccabili anche se visibili nell'angolo di un inquadratura per pochi secondi), salvo -a mio avviso- perdere di vista l'autore proprio nel significato d'insieme che i singoli dettagli concorrevano a formare.

Mi permetto di consigliarvi caldamente la lettura di UT. Il Narn i hîn Húrin, ovvero il racconto di Turin Turambar di cui in S si trova la versione in stile cronachistico, ha sopravanzato l'Ainulindale, LT, H, S, LR nella mia personale classifica degli scritti tolkeniani. Meno elaborati da un punto di vista letterario, ma decisamente stimolanti nell'offrire impensati retroscena a quella che sembrerebbe un'opera già estremamente dettagliata come LR, sono invece gli scritti che forniscono il resoconto della disfatta di Isildur ai Gladden Fields (Campi Iridati), del percorso dei Nazghul prima di arrivare alla Contea (e del loro terrore per l'acqua), dei rapporti fra Gandalf e Saruman (fra cui il divertente episodio sull'erba-pipa, p. 467 dell'edizione italiana), di come Gollum finì a Moria, nonché le informazioni manualistiche sull'origine degli Istari e su come usare un palantir. Infine viene spiegata la pre(i)storia di H, in particolare come nacque l'equivoco di Bilbo ladro professionista.

All'interno del suo mondo, Tolkien ha fatto uso di tutti i generi letterari. Della storia di Turin, che ritengo esemplare per intreccio e forza drammatica (cioè di coinvolgimento del lettore), abbiamo la prima concezione in LT2 (Racconti perduti; 1915), il racconto esteso di età matura (UT; anni '50), la versione sintetica ricavata da quest'ultimo (S), il lungo lamento in versi rimati (HoMe III). A proposito del racconto esteso, è incredibile come si arricchisca con l'indugiare sapiente di Tolkien sui particolari che non sono mai fini a se stessi ma o creano, rispetto alla versione di S, nuove storie nella storia, o ricreano sapientemente (ogni dettaglio è dato sempre al momento giusto nel posto giusto) un'atmosfera andando non so come a ripescare immagini, emozioni e sensazioni nella memoria del lettore. Molte volte leggendo mi sono soffermato per cercare di capire perché quella frase, quel particolare, apparentemente superfluo ai fini della trama, mi fosse sembrato così coinvolgente e appropriato, tanto che se non ci fosse stato ne avrei sentito sicuramente la mancanza.

In LT1 (Racconti ritrovati), mi hanno lasciato esterefatto, quasi intontito, alcune pagine, ad esempio quelle che descrivono il primo germogliare dei due alberi (sembra di vederli crescere fra le due pagine aperte del libro), o l'espediente con cui i Valar penetrarono a Utumna e catturarono Melko (episodio riportato in 5 righe in S, e che occupa in LT1 5 memorabili pagine), per non dire della gioia dei Valar non appena si diffonde la notizia della nascita dei primi figli di Eru (che va senz'altro messa in parallelo con l'adozione filiale degli uomini da parte di Dio secondo la religione cristiana).

Ho sempre detto che S mi piace per il piacere di raccontare che viene effuso da ogni sua pagina. Leggendo l'introduzione del figlio Christopher a LT1 ho trovato espresso e compiutamente formulato proprio questo mio pensiero. Christopher dice che in S suo padre ha volutamente ignorato le consuetudini radicate nel genere 'romanzo': ha scritto senza preoccuparsi di creare un protagonista, di ritmare l'alterno tempo della narrazione o di dosare i colpi di scena come invece ha saputo fare peraltro magistralmente in LR.

Allo stesso tempo, uno degli ingredienti che affascinano il lettore di LR è la percezione che il racconto che si sta dipanando sotto i suoi occhi è solo la punta di un iceberg, il culmine di una storia ben più complessa. Non immagina che questo non sia un semplice espediente narrativo, bensì che corrisponda ad una vera e propria storiografia e mitologia, pur sempre fittizia, ma realmente scritta dallo stesso autore. Per chi è rimasto incuriosito e vuole saperne di più, avere a disposizione S, UT, nonché i 12 volumi di HoMe è un privilegio eccezionale che dobbiamo al meticoloso lavoro di Christopher Tolkien. Credo che pochi abbiano dubbi sul fatto che S doveva essere pubblicato, anche solo per portare a compimento i 50 anni di lavorazione dell'autore.

Il racconto per il puro gusto di raccontare. Pensavo a come noi abbiamo completamente perso questa dimensione dell'oralità. In televisione si parla tanto, ma casomai si dialoga. Nel mio lavoro sono abituato a parlare anche per un paio d'ore, e si dice "fare lezione", il ché significa che mi si accorda una certa autorità e in base a quella, nell'ambito permesso dalla schematizzazione del sapere e secondo la metodologia scientifica, sono libero di dire ciò che voglio; effettivamente in questo ho tutta la libertà di collegare le cose come credo possa essere più suggestivo e interessante, e provo compiacimento nel saper trovare un percorso alternativo rispetto all'esposizione lineare di un argomento, un percorso ritmato in modo da stimolare l'attenzione, magari individuando gli inesorabili paralleli che il passato ha con il presente; ogni argomento voglio affrontarlo secondo il mio punto di vista, ovvero secondo la specificità dei miei studi nonché secondo il contesto della mia vita in quel momento. Da questo punto di vista vanto una certa affinità con le modalità del racconto orale. Nel mondo dello spettacolo o dell'intrattenimento, credo che il "raccontare" in forma monologica sia ammesso solo quando è comico. Penso dunque a quanto potrebbe essere bello (o probabilmente forse no) portare in scena uno spettacolo in cui un cantastorie si siede sul palcoscenico e inizia a raccontare la storia di Turin, travolgendo il pubblico con la grandiosità dell'insieme e l'intreccio dei particolari. Un altro attore, lo immaginiamo nei panni di un bambino, chiede delucidazioni, digressioni, identifica i nomi etc. ("quel Thingol che regnava a Menegroth? Menegroth la capitale del Doriath scavata sotto terra?") prevenendo sapientemente quelle che in un contesto più limitato potrebbero essere le domande o obiezioni degli ascoltatori.

PS1: UT l'ho letto in italiano, non trovandolo in inglese ed essendo troppo impaziente, grazie anche ad un amico che me l'ha prestato. Bisogna dire un paio di cose: Tolkien è stato tradotto malissimo in italiano, sia per i nomi propri (ci sono vere e proprie invenzioni dei singoli traduttori, ad es. Gaggiolo), sia nel non saper ricalcare i vari generi letterari (eccezion fatta per il carattere spigliato di H e delle parti narrative in UT; ma si pensi all'assurdo "fece alto" per "si fermò", ridicolo tentativo di ricalcare l'inglese aulico di Tolkien). Insomma, molto si perde... vista anche l'attenzione tolkeniana verso lo stile e l'aspetto fonoestetico (cioè di come il suono delle parole crei un effetto estetico in sè, basti pensare a Morannon, Dorthonion, Erebor, Smaug, Gondolin, Menegroth, Thangorodrim, Pelennor, Feanor, Nevrast, Mormegil, Caradhras, Mordor, Taur-nu-fuin, Tol Sirion, Erech, Ecthelion, Echoriath... mi viene da pensare a quella pubblicità con il finto Sylvester Stallone che si fa chiamare Bubu... effettivamente in principio Frodo si chiamava Bingo). Tuttavia molto rimane, come emerge chiaramente leggendo brani come il Narn i hîn Húrin.

PS2: vi allego un saggio su Tom Bombadil e l'elenco dei contenuti dei volumi di HoMe.

Lunedì 2 febbraio 2004, 12:58

Caro Alberto
(e Balba: ti è arrivata l'e-lettera sulle monete?),
ti allego or dunque il primo capitolo dell'Hobbit nonché un elenco (non completo) delle opere di Tolkien in cui mi sono appuntato alcune cose degne di interesse (per me). E' bene precisare che "The history of the Middle-Earth" è una scelta postuma dei quintali di scritti inediti di Tolkien in cui egli delineava il "background" delle proprie storie fin nei minimi dettagli, scelta fatta dal figlio di Tolkien (lo stesso che ha curato la pubblicazione postuma del Silmarillion). In italiano sono stati tradotti solo i primi due volumi, con i titoli "Racconti perduti" e "Racconti ritrovati" (in inglese invece è sempre "lost tales" parte 1 e 2). In italiano è stato tradotto anche "Tree and Leaf" (con il titolo di "Albero e foglia") nonché "Le avventure di Tom Bombadil" di cui forse Balba sa di più. Bisogna dire inoltre che il primo approccio ai lavori inediti e agli appunti personali di un autore può essere deludente: nel caso di Tolkien, direi di no; ciò non toglie comunque che non vi ci si può cercare quell'organicità e unitarietà che troviamo, ad esempio, ne l'Hobbit o nel Signore degli Anelli (per inciso, Tolkien è uno dei pochi scrittori, a mio avviso, capace di esprimersi compiutamente sia in racconti brevi che opere monumentali).

Siccome non mi piace la traduzione italiana del Signore degli Anelli, ho pensato bene di iniziare a tradurre l'Hobbit. Tutto chiaro??? Il fatto ovviamente è che l'Hobbit è più breve. Diciamo che tradurre è l'unico modo* che mi rimane per contribuire all'abbellimento della Terra di Mezzo (ovviamente abbellimento possibile solo in altre lingue e per chi non può leggere l'originale). Senonché ho scoperto che la traduzione italiana dell'hobbit (identica sia nell'edizione Adelphi che Bompiani, quest'ultima arricchita però dalle note dell'Annotated Hobbit inglese, ma priva delle interessantissimi appendici che riportano ad esempio il dialogo fra Gollum e Bilbo secondo la prima edizione del libro...), di altro traduttore rispetto al Signore degli Anelli, è già ottima (anche se qualcosa da obiettare qua e là l'avrei, come 'caverna' per 'Hobbit hole' -vedi prima frase del libro- la cui traduzione migliore è sicuramente 'tana Hobbit').

* Nella seconda edizione inglese del Silmarillion, è preposta un'interessantissima lettera di Tolkien al suo incuriosito editore, in cui in 20 paginette riassume tutte le prime due ere, spiegando anche qua e là ciò che lo ha spinto a scrivere (fra cui primariamente costruire e arredare un mondo organico e ordinato che facesse uso delle sue lingue inventate) e cosa dell'uomo ha infuso negli Elfi etc. Qui si augura espressamente che all'abbellimento del suo mondo possano contribuire altri, completandone la geografia, scrivendone nuove storie, estendendone altre... Ovviamente non aveva previsto il pesantissimo Copyright del Tolkien Estate (copyright che dovrebbe pagare lo stesso Balba e chiunque citi o si esprima in una delle lingue inventate da Tolkien).

La lettera di don Ale o, meglio, del suo amico, l'ho ovviamente già letta e anche diffusa nella locale comunità tolkeniana. Ma il don, di suo, aveva mandato un altra lettera prima???

Adesso è meglio che torni al lavoro senza rileggere, scusatemi,
Gian Pietro

Venerdì 30 gennaio 2004

Caro Balba,
dimenticavo di dirti che, in base alla nota 2 nell'elenco dei re della casata di Eorl (RotK, appendice A se non sbaglio, sub Brego), ho capito di chi sono i miseri resti mortali incontrati da Aragorn & Co. all'inizio del sentiero dei morti (RotK, cap. II): trattasi di Baldor, figlio di Brego (costruttore di Meduseld), il quale aveva fatto imprudentemente il voto di varcare la soglia del sentiero e nessuno più lo vide (come risulta dalle spiegazioni di Theoden a Merry nel cap. III di RotK).

Gian Pietro

Venerdì 30 gennaio 2004
da Davide tramite don Alessandro Marchesini

Vi inoltro una mail di risposta che mi ha mandato un carissimo amico; il tema (suscitato dal sottoscritto) è il finale del Signore degli Anelli, quel sorriso colmo di affetto che Frodo rivolge agli amici Hobbit ... colmo di affetto sì, ma è l'ULTIMO sorriso di Frodo! A me ha fatto pensare molto e mi ha trasmesso una grande tristezza ... ecco la risposta di questo amico!

Quanto al finale del "Signore degli Anelli", quello del libro è incommensurabile. Senza pari. Il film, comunque, lo rende alla grande: il sorriso di Frodo è davvero una spada. Tuttavia, a me il finale del libro ispira tutt'altro che tristezza. Condivido quella struggente nostalgia di "pienezza" e di stabilità degli affetti di cui parla Ale, ma la storia di Frodo e dell'anello, degli elfi e degli uomini, a me fa pensare a qualcosa di diverso.

Personalmente mi sono fatto l'idea che con l'ultimo viaggio di Gandalf, degli elfi e di Frodo, metafora delicatissima della morte, ma di una morte intesa come passaggio di pienezza (cfr. la descrizione della luce... e che, per altro, non toglie la realtà del distacco per gli amici) e non come "rottura", l'autore abbia voluto dire che "La Terra di Mezzo" è più un luogo spirituale, che geografico. E' "di Mezzo", perché è la nostra vita, preceduta dal pensiero di Dio - simboleggiato dalle storie "mitiche" che fanno da antefatto al Signore degli Anelli (ad es. la luce del Silmarillion ecc. ecc.) - e perché è seguita dal compimento (simboleggiato dal viaggio finale dei nostri amici e dalle terre al di là del mare, terre che ospitano l'immortalità degli elfi...).

Questa è stata l'era dello scontro tra Sauron e i popoli liberi, tra il Signore Oscuro e il Cavaliere Bianco (Gandalf lo dice varie volte nel libro...), l'era dello scontro fra il bene e il male.

Sconfitto Sauron, e asceso al trono di Gondor Aragorn, ora è l'era degli uomini. E anche Aragorn dovrà fare il suo dovere.

Ma in realtà, ogni era è quella della battaglia fra il bene e il male e molto di più ogni nostra era è il tempo in cui gli uomini devono fare il loro "dovere".

Ebbene, io credo che in modo ineguagliato, finissimo e per nulla scontato, Tolkien ci abbia voluto dire che queste "ere" che si intrecciano nella Terra di Mezzo, sono in realtà le sfide che si intrecciano nella "terra di mezzo" della nostra vita terrena: tutta la nostra vita è segnata dalla battaglia fra il bene e il male; dalla scelta dell'uno e dal rifiuto dell'altro e dalla nostra responsabilità come uomini.

Il Potere (notare la maiuscola!) dell'anello è l'elemento discriminante di questo grande "viaggio". Sapremo portare il "fardello", il peso enorme di questa battaglia? Sapremo annientare l'Anello nei luoghi più profondi di questa "terra" (cfr. il vulcano del Monte Fato...)? E da notare che questo incarico non è dato agli eroi. Essi possono contribuire al grande viaggio della nostra vita e delle nostre storie, ma non possono compiere ciò che è essenziale per ciascuno di noi. Solo il singolo lo può fare (notare i rimandi continui del film tra le scene collettive degli eroi e i singoli...!).

Ed eccoci giunti alla riflessione che volevo proporre - per parte mia. Chi ha portato l'Anello senza rimanerne schiacciato, ha concluso il suo viaggio nella "Terra di Mezzo" e non morirà... Muore chi l'ha portato e ne è rimasto imprigionato: Isildur, Gollum, ecc. ecc. Chi invece l'ha portato senza divenirne succube fa terminare la grande battaglia, sconfigge il Potere del Male (o meglio: "il male del Potere") e fa trionfare la "sovranità" dell'uomo. La sua permanenza su questa terra di mezzo non ha più motivo di essere. Egli è pronto per concludere il viaggio e non essere più "di passaggio"... Per questo, secondo me, parte Frodo, parte Gandalf, parte Bilbo... Ora è il tempo degli "altri", di chi deve fare ancora la sua parte in questa "terra di mezzo" della sua vita e cercare anche lui, un giorno, di raggiungere "le bianche scogliere".

Io non credo che si possa semplicemente dire che è un duro distacco. E' piuttosto un coronamento; e come tale è qualcosa di grande, che richiede una grandezza d'animo ineguagliata: quella di Gandalf, di Frodo... e poi di Sam, che anche lui ha fatto la sua parte a portare l'Anello!

Uscendo dalla metafora, quindi, a me dà una grande speranza. Rimanendo vero tutto ciò che dice Ale sulla nostra "fragile" condizione, tuttavia per me è bellissimo sperare di poter vincere la battaglia contro il male e il potere che seduce le nostre vite, sperare di poter fare la nostra parte con nobiltà d'animo, così come siamo - "dei piccoli mezzuomini" - e confidare di poter varcare un giorno, con animo lieto e un sorriso grande il grande mare verso le bianche scogliere, e non essere più "di passaggio", ma concittadini dei santi e familiari di Dio (vd. Ef 2,20ss). "Allora a Frodo parve che la grigia cortina si trasformasse in vetro argentato e venisse aperta, svelando candide rive e una terra verde al lume dell'alba...".

D'altra parte a nessuno è chiesto di non piangere, perché non tutte le lacrime sono un male... Anche perché noi, per adesso, siamo un po' come Sam e udiamo solo il rumore, i richiami, la chiaroscura realtà di questa nostra terra di mezzo: "Rimase a lungo lì, immobile, udendo soltanto il sospiro e il mormorio delle onde sulle spiagge della Terra di Mezzo, e il rumore penetrò fino in fondo al suo cuore...".

- Davide -

Carissimi amici (e qui torno a parlare io) credo che questa sia una delle interpretazioni più profonde che abbia mai sentito sul Signore degli Anelli ... credo valga la pena che ciascuno di noi ci pensi ... che tutti noi, piccoli mezzuomini, impariamo che la Terra di Mezzo è veramente il luogo in cui spenderci per combattere la battaglia contro il Male, sapendo che il Cavaliere Bianco è con noi!; e valicare così, al termine di questa avventura, il mare della morte con animo lieto e con la certezza che quell'ultimo sorriso è il primo di una lunga serie di sorrisi che nascono dalla gioia di essere entrati nella vita che non finisce!

Ciao a tutti!
Buona strada!!
d.ale

Caro Paolo,
per quel che riguarda l'armata dei morti, fantastico! Ho trovato il passo ma la prossima volta segnalami almeno il capitolo (le mie ricerche mi avevano portato a cercare perfino nell'Akallabeth!)!

Consiglioti (se non li conosci già):

1) http://www.elvish.org/gwaith/movie_news.htm sulle iscrizioni e frasi presenti nel film.

2) www.ardalambion.com ricchissimo di materiale sulle lingue inventate da Tolkien, fra cui pagina dedicata ad estesa analisi linguistica di A Elbereth: http://www.uib.no/People/hnohf/elbereth.htm

3) http://www.quicksilver899.com/Tolkien/Tolkien_Dictionary.html un completo dizionario di tutti i nomi presenti nelle opere di Tolkien, con etimologia etc. Guarda ad esempio Gaffer sotto Gamgee nel dizionario del Signore degli Anelli.

Inoltre tempo fa da qualche parte ho recuperato Silmarillion, Hobbit, Lord of the Rings in inglese come file di testo. Se li vuoi te li passo. L'Ainulindale mi permetto di allegartela direttamente. Ho trovato pure gli screenplay (i dialoghi) in inglese del primo e secondo (extended) film.

Gian Pietro

Martedì 27 gennaio 2004
da Beatrice Tesini

Ciao a tutti,
ho finito proprio ieri sera di vedere il secondo episodio della saga.

Ho visto entrambi i film in video, e quindi mi sono persa tante emozioni...

Pensavo che questo genere non mi...riguardasse, e invece!?

Il dibattito sul bene e il male, la tentazione del potere, il valore assoluto della lealtà e dell'amicizia...tutti argomenti molto interessanti.

Purtroppo non ho una conoscenza sufficiente della materia per poter dire la mia!!!

Da brava neofita ( e forse nemmeno!!) aspetto di saperne di più; nel frattempo vi invito alla discussione...

 

PS: caro Balba, poche volte (mai!!) ti ho sentito usare parole così vibranti di commozione!

Anche questo è un fenomeno da studiare!!!

E grazie a Basel per gli stimoli sempre sfiziosi!!!

A presto
Bea [Tesini]

Lunedì 26 gennaio 2004, 18:20
da Paolo Balbarini

A proposito del Sentiero dei Morti:

Il giuramento che ruppero era quello di lottare contro Sauron. A Erech si trova ancora una pietra nera portata di Isildur e proveniente da Numenor: fu deposta in cima ad un colle e su di essa il Re delle Montagne giurò alleanza a Isildur agli albori del reame di Gondor. Quando Sauron tornò e la sua potenza crebbe nuovamente, Isildur chiese agli Uomini delle Montagne di mantenere la promessa ma essi rifiutarono. Avevano infatti obbedito a Sauron durante gli anni oscuri.

Sauron disse allora al Re: "tu sarai l'ultimo Re. E se l'occidente risulterà più forte del tuo nero padrone possa cadere su te e sul tuo popolo la mia maledizione. Non conoscerete riposo finchè non manterrete il vostro giuramento.
Questa guerra durerà innumerevoli anni e voi sarete ancora convocati una volta prima della fine."

Cosi non cambatterono ne per Sauron e ne per Isildur e fuggirono tra le montagne dove staranno fino a che Aragorn andrà a chiamarli.

Per quanto riguarda invece i fuochi sulle montagne, non esistono nel libro.

Minas tirith chiama a raccolta i cavalieri di Rohann, che comunque stavano gia organizzando l' esercito, con un messaggero di nome Hirgin che porta a Theoden una freccia rossa, che come i fuochi, è una richiesta di aiuto.

Ed è lo stesso Denethor a chiamarli e non Gandalf; ma tutta questa parte centrale è stata stravolta e bisogna rileggerla.

Tornando al film, visto che dura dieci/undici ore ... perchè non farlo di mezz'ora più lungo e dare spazio a Tom bombadil???

Questa è una delle lacune più gravi!!

Ciao, Balbalbero.

Domenica 25 gennaio 2004, 23:47
da Paolo Balbarini

Stasera ho rivisto il film e ho notato tante cose che mi erano sfuggite. Volevo parlare di una frase che sarà sicuramente chiarissima per i Tolkeniani, meno per chi ha visto solo il film (che è ora che riempiano il buco della loro cultura leggendo almeno una volta il romanzo).

La frase è di Elrond ed è rivolta ad Arwen, Stella del Vespro. Dice Elrond: "la vita degli Eldar ti sta abbandonando".

Cosa vuol dire visto che nel film è l'unica volta che viene pronunciata la parola Eldar? (Attendo volentieri smentite ...)

Nei tempi Remoti gli Elfi erano divisi in Elfi Occidentali e Elfi Orientali. I primi venivano chiamati anche Eldar. Il più grande degli Eldar fu Feanor che creò i tre silmarilli. I Silmarilli furono rubati da Morgoth e li portò nella terra di Mezzo e Feanor allora vi si recò contro il volere dei Valar. Qui gli Eldar combatterono assieme agli Edain, che era una stirpe di uomini, contro Morgoth, ma furono sconfitti. Ma l'alleanza degli Eldar e degli Edain si saldò e ci furono due unioni in matrimonio tra uomini ed elfi. Da una di queste unioni nacque Earendil, padre di Elrond, padre di Arwen. Quando i Valar imposero ad Elrond una scelta, lui scelse la via elfica, ma il suo sangue è misto.

Ecco che in realtà Arwen non è un elfo, ma un peredhil (che si puo tradurre in mezzoelfo). Ecco perchè può rinunciare alla sua parte Eldar, quella elfica e mantenere solo la parte Edain che le consente di andare in sposa ad Aragorn (il quale è anche lui un discendente degli Edain).

Prima di salutarvi vi do anche la traduzione in lingua originale elfica della frase mitica di Aragorn: "Io do la speranza agli uomini, ma non ne ho per me".

Onen i-Estel Edain, u-chebin estel anim.

(dove potete vedere il termine Edain utilizzato per gli uomini)

PS: seguiro adesso il consiglio di ghibo ... prima di dormire un paio d'ore di silmarillion.

PPS: sulla sceneggiatura aperta purtroppo è vero, anche se credo che nel caso di Saruman sia dovuto alla morte di Cristopher Lee durante le riprese. E comunque lo si reincontrava solo come un cencioso mendicante sulla via della Contea in compagnia di Grima Vermilinguo.

Domenica 25 gennaio 2004, 17:07
da Alberto Ghibellini

Beh! Caro il mio vecchio Balba, visto gli innumerevoli destinatari di questo messaggio non posso che imitare Bilbo dicendo: "Conosco metà di voi soltanto la metà; e nutro per meno della metà di voi, metà dell'affetto che meritate"... Non voglio addentrarmi a quasto punto in profonde dissertazioni sulla filosofia Tolkeniana, aspetto di avere terminato la lettura del "Silmarillion" libro che consiglio a TUTTI gli appassionati delle saghe sulla Terra di Mezzo. Fino ad ora ho letto solamente i primi due capitoli e sono rimasto stupito per i continui richiami alla teologia cristiana. Non me ne vogliano eventuali Sacerdoti o teologi all'ascolto, ma ritengo che l'autore del libro abbia riproposto il suo essere cristiano con altre parole senza nulla cambiare della sostanza della nostra religione, in particolare proprio per quello che riguarda il male come allontanamento del "creato" (Ainur) dal progetto del Creatore (Eru) che produce una distorsione nell'armonia universale...
Per fortuna che avevo promesso di non produrmi in dissertazioni filosofiche, tutta colpa dell'ermeneutica e degli incontri di Don Alessandro...

Il film mi è piaciuto molto e rispecchia esattamente la sensazione che ho avuto leggendo il libro: una storia molto sbilanciata sulle fasi preparatorie che giunge a soluzione in pochissime pagine. Purtroppo non mi sono commosso come credevo, la scena della partenza dai rifugi grigi è troppo breve, inoltre la necessità di ridurre la sceneggiatura ha lasciato alcuni conti aperti, in particolare con Saruman, Éowyn e Faramir. Tutto sommato la pellicola è comunque godibilissima e prometto che, al fine di apprezzarla meglio, la guarderò almeno altre due volte al cinema. Poi rimarrò in attesa del DVD versione allungata con la speranza che alcuni di questi conti siano chiusi.

Non rimane ora che fugare l'ultimo dubbio: Gaffiere è l'italianizzazione dall'inglese Gaffer che vuol dire vecchio compagno o anche capo. Non so il criterio utilizzato dai traduttori per questo termine ma la prima volta che lessi la versione in italiano mi venne subito in mente Mike Bongiorno...

A Elbereth

Elrond from Rivendell [Albero Ghibellini]

Domenica 25 gennaio 2004, 01:18
da Paolo Balbarini

A Elbereth Gilthoniel
o menel palan-diriel,
le nannon si di'inguruthos!
A tiro nin, Fanuilos!

Basel ha proposto una discussione tolkeniana. Perchè no?

1) In Tolkien la lotta tra il bene e il male non è per nulla banale. Innanzitutto il male non ha una forma fisica, Sauron è un occhio o comunque una armatura incorporea. Il male quindi non è radicato in un essere, il male è tale perchè è male, puro e semplice spirito. Chiunque può accogliere in se lo sguardo di Sauron, chiunque nella sua vita può decidere di guardare nel palantir e abbandonarsi in esso.

2) Il bene invece non è assoluto e questa mi pare la cosa più importante dell'universo tolkeniano. Non ci sono pesonaggi sempre buoni o sempre cattivi come nelle favole tradizionali. Il bene dei personaggi tolkeniani è basato su una continua lotta interiore, ognuno ha una speranza ma ognuno può anche abbracciare il lato oscuro.

In ogni istante il conflitto può assumere direzioni diverse, e non risparmia nessuno, nemmeno i più saggi o potenti, come Saruman, e nemmeno i più semplici e puri, come gli hobbit. Questa purezza genetica degli hobbit consente a uno di essi di arrivare fino alle soglie del male resistendogli, ma una volta sul ciglio rivela tutta la sua debolezza e vi si abbandona. E questo lo segnerà per tutta la vita, costringendolo a cercare una purificazione dello spirito al di la dello spazio e del tempo. In questo conflitto eterno l'amicizia e la lealtà sono i fari che aiutano a restare sulla via della rettitudine.

3) Però non mi piace fare troppo il serio. Quello che ho più apprezzato dal film è stata l'epica. Quella lotta impossibile che ha consentito ai vincitori di cambiare un era della storia (il mondo è cambiato, lo sento nell'acqua, lo sento nella terra ...). Io ho goduto per tutte le 11 ore del film. Ho avuto emozioni, gioie, mi sono commosso, ho visto le stesse città che mi ero immaginato nelle 5 volte che ho letto il romanzo, ho visto Gandalf con la stessa faccia che aveva quando era solo carta stampata, ho sentito sibilare "il mio tesssoro .." esattamente come doveva essere. A mio parere è un raro esempio si successo nella trasposizione in film di un romanzo.

(Forse la scena che più delle altre ricordo con emozione è quella dove vengono accesi i fuochi a Minas Tirith per chiamare in aiuto i cavalieri di Rohann.)

Va be ... saluto tutti i Bagginsi e i Sackville, i Boffin, i Tuc e i Brandibuck, i Paffuti e i Rintanati, i Bolgeri e i Serracinta, i Soffiatromba e i Tronfipiede ... senza dimenticare il vecchio Gaffiere.

Ciao ciao

PS: qualcuno mi sa dire che cos'è un Gaffiere? Come è il testo originale?

Sigle bibliografiche


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Persiceto, 28/II/2004; varie rielaborazioni e aggiunte fino alla risistemazione del 13/I/2005.